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Unesco: “L’arte del pizzaiuolo napoletano è patrimonio dell’umanità”

L’arte del pizzaiuolo napoletano è patrimonio dell’umanità

Fare il pizzaiolo è un’arte, a Napoli soprattutto, lo sa tutto il Mondo ormai e ora questo antico mestiere è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità. Nella notte è infatti arrivato il via libera dal consiglio dell’Unesco riunito a Jeju, nella Corea del Sud. Il voto del Comitato di governo dell’Unesco per l’unica candidatura italiana è stato unanime. Ad annunciarlo è stato l’Unesco stesso dal proprio profilo Twitter: “L’arte del pizzaiuolo napoletano è stata iscritta nella rappresentativa lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. Congratulazioni Italia!”.

La prima pizza al mondo fu infornata a  Capodimonte. Per l’Unesco, si legge nella decisione finale, “il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale.

I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da ‘palcoscenico’ durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale”.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha premiato così il lungo lavoro del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che nel 2009 aveva iniziato a redigere il dossier di candidatura con il supporto delle Associazioni dei pizzaiuoli e della Regione Campania, superando i pregiudizi di quanti vedevano in questa antica arte solo un fenomeno commerciale e non una delle più alte espressioni identitarie della cultura partenopea. Il dossier della candidatura e la delegazione sono stati coordinati dal professor Pier Luigi Petrillo.

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