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Spettacolo

Enzo Iacchetti: “Sogno una rivoluzione contro questa società un po’ imbecille. Ho fatto una richiesta a Dio…”

Enzo Iacchetti ha parlato del suo nuovo spettacolo ai microfoni di Tgcom24:

Una richiesta di aiuto se non addirittura una chiamata in correo per il Padreterno, affinché scenda e ci liberi dai mali della società moderna. A partire dall’imbecillità dilagante. E’ “Libera Nos Domine”, il nuovo spettacolo di Enzo Iacchetti che, dopo l’anteprima dello scorso aprile, parte il 16 gennaio dal Teatro Delfino di Milano per una tournée che lo porterà in tutta Italia. “Sogno una rivoluzione contro questa società un po’ imbecille” dice.

Un lavoro maturo, in pieno stile teatro-canzone, dove Iacchetti si racconta intervallando il suo monologo con canzoni di Gaber, Jannacci, Faletti, Guccini (del quale esegue il brano che dà il titolo allo spettacolo) e alcune composte da lui stesso. Solo in scena, aiutato da effetti speciali coinvolgenti come le proiezioni virtuali animate di Francesco Crisci e le sapienti luci di Valerio Tiberi, l’artista è prigioniero dell’attualità e vuole liberarsi dai dubbi che lo affliggono su temi come progresso, amore, amicizi, emigrazione, offrendoci un’ultima ipotesi di rivoluzione.

Da cosa dobbiamo liberarci?
“La mia è una richiesta al Padreterno di liberarci da tutti gli imbecilli. E’ una richiesta rivolta direttamente a lui, perché scenda a mettere a posto le cose. E arriva dopo che ho parlato della multimedialità che ci rende schiavi, dell’amicizia, che ritengo essere il sentimento più importante, e dell’amore, che per me è quasi impossibile. Intanto perché l’amore è sempre inficiato dal sesso, e poi perché non sta nel cuore ma nell’anima. E quindi prima dovremmo scoprire la nostra e poi trovare qualcuno con cui dividerla. Cosa molto difficile”.

Uno spettacolo per pensare?
“Sì, non solo. Si ride ovviamente. Ma in alcuni momenti mi viene voglia di dire cose che potrebbero servire ai figli dei miei figli. E poi c’è un messaggio chiaro: Dio c’è o non c’è? Perché se noi sbagliamo, il minimo che possiamo pensare è che ci abbia fatti male”.

La musica che ruolo ha nel racconto?
“Un ruolo fondamentale per completare le cose che racconto. Le canzoni sono state tutte scelte ad hoc. Sono alcuni dei brani meno conosciuti di mostri sacri come Gaber, Faletti, Guccini e Jannacci. Le ho riarrangiate e messe in maniera più moderna. Siccome loro, quelli bravi di una volta, non ci sono più (a parte Guccini che però si è praticamente ritirato a vita privata), provo a trasmettere un po’ della loro opera”. 

Ma liberarci da questa gabbia è praticamente impossibile, qual è l’antidoto per tirare avanti? 
“Credo sia un antidoto di ispirazione gaberiana. Lui sosteneva che Dio è una parte buona che è dentro ognuno di noi. Lo trovo nella mia mamma, in mio papà, nei miei amici. Più pezzi buoni troviamo e più dovremo diversificarci. Non riusciamo a essere così buoni da capire la strada giusta, per questo invoco qualcuno che ci aiuti”. 

Come mai hai scelto di partire da un teatro di periferia come il Delfino?
“Avrei potuto andare anche in un teatro del centro ma per me andare al Delfino significa aiutare una sala che adotta una politica di prezzi popolari e che rischia di chiudere. E quando chiude un teatro per me sono 20 anni di vita in meno. Io mi sono sempre ribellato alla politica dei biglietti omaggio: è inutile avere un teatro pieno con metà sala che non ha pagato. Io i soldi ce li metto volentieri reinvestendo nel teatro quello che guadagno con la tv. E’ il mio unico vizio. Ma bisogna fare in modo che la gente poi venga e non solo nei weekend come sembra essere la prassi degli ultimi tempi”.

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