Home » L’importanza del revisionismo e i dubbi sulle teorie: il confronto
Cultura Italia News

L’importanza del revisionismo e i dubbi sulle teorie: il confronto

L’importanza del revisionismo e i dubbi sulle teorie: il confronto tra i vari fatti storici accaduti ma mai raccontato dai libri di Storia

L’importanza del revisionismo e i dubbi sulle teorie: il confronto. In questi mesi abbiamo pubblicato in diverse occasioni alcune teorie sconosciuto rispetto alla storia dell’Unità d’Italia avvenuta ufficialmente il 17 marzo del 1861. Vi abbiamo raccontato degli interventi del giornalista e scrittore Pino Aprile e delle iniziative del Movimento Neoborbonico. Fino alla scena della fiction ‘Imma Tataranni’.

In questo giorni ci sono arrivate diverse email in redazione che chiedono più informazioni a riguardo. Così come dei veri e propri articoli che i nostri lettori ci hanno inviato. Tra tutte, ne abbiamo scelta una, scritta ed inviata alla redazione di BreveNews.Com. A scriverci è il nostro lettore Giuseppe Giunto che ci propone una sua disamina.

Riceviamo e pubblichiamo.
“Il revisionismo sul Risorgimento è oggetto di critiche da parte di alcune personalità del mondo accademico e giornalistico. Uno dei più noti detrattori è lo storico Ernesto Galli della Loggia, che controbatte su diverse asserzioni esposte dai revisionisti. Galli della Loggia nega il depauperamento del Sud dopo l’Unità e sostiene che il divario tra settentrione e meridione, al 1860, era già esistente.

Egli ha contestato una scarsa presenza di vie di comunicazione nel regno borbonico e ha definito la ferrovia Napoli-Portici “un giocattolo del re”, giudicandola inferiore alla Torino-Genova o alle ferrovie costruite dagli austriaci in Lombardia. E giustifica questo suo giudizio affermando che collegare Napoli con Portici non avrebbe potuto in alcun modo favorire l’economia, non solo per l’estrema brevità della ferrovia in sè, lunga pochi chilometri, ma soprattutto perché Portici non era una zona produttiva, ma solo una zona residenziale. Si è espresso negativamente sulla politica economica adottata dai Borbone in Sicilia, da lui giudicata “coloniale”.

Lo storico ha inoltre smentito una componente anticattolica nel Risorgimento, considerandola invece “laicista, più o meno massonica”. Francesco Perfetti, professore di storia contemporanea presso la LUISS di Roma, ha dichiarato che la parola revisionismo dovrebbe essere eliminata perché si sarebbe caricata di una valenza politica e ideologica, suggerendo ai revisionisti cattolici di valutare il risorgimento con i criteri dello storicismo critico nel quadro europeo.

Tra gli oppositori della tesi revisionista era anche il giornalista Giorgio Bocca, che ha definito “una balla” l’immagine di un Mezzogiorno fiorente depredato dal Nord e che la sua povertà risale a secoli prima dell’unità. Bocca considerò “insensati” i movimenti meridionali, analogamente a quello leghista. Il giornalista Sergio Romano parla di un “travisamento nazionale”.

Egli ha dichiarato: «Per unanime consenso dell’Europa d’allora il Regno delle Due Sicilie era uno degli Stati peggio governati da una aristocrazia retriva, paternalista e bigotta. La «guerra del brigantaggio» non fu il fenomeno criminale descritto dal governo di Torino, ma neppure una guerra di secessione come quella che si combatteva negli Stati Uniti in quegli stessi anni.

Fu una disordinata combinazione di rivolte plebee e moti legittimisti conditi da molto fanatismo religioso e ferocia individuale. La classe dirigente unitaria fece una politica che favoriva le iniziative industriali del Nord perché erano allora le più promettenti, e non fece molto, almeno sino al secondo dopoguerra, per promuovere lo sviluppo delle regioni meridionali.

Ma il Sud si lasciò rappresentare da una classe dirigente di notabili, proprietari terrieri, signori della rendita e sensali di voti, più interessati a conservare il loro potere che a migliorare la sorte dei loro concittadini. » Critiche mosse anche da Sergio Boschiero, segretario dell’Unione Monarchica Italiana, che ha denunciato il pericolo di un “revisionismo senza storici”, mirante a demolire il mito risorgimentale.

Secondo il movimento monarchico, sono stati analizzati alcuni testi di sedicenti storici che, attraverso la stampa, spargono odio in funzione antinazionale. Un attacco diretto contro il revisionismo venne formulato da Alessandro Galante Garrone, nell’editoriale “Ritornano gli sconfitti dalla storia”, pubblicato in prima pagina sulla La Stampa il 27 settembre 2000, accompagnato dalla firma di 56 intellettuali e scritto a seguito di una mostra sul brigantaggio tenuta nell’annuale meeting di Rimini di Comunione e Liberazione.

In esso Garrone afferma che questa revisione si traduce in una distorsione della realtà storica, divenendo una provocazione inaccettabile per l’Italia civile accompagnata dalla esaltazione delle forze sanfediste all’interno di una aggressione più vasta contro i “principi laici e liberali che costituiscono una parte fondante della Costituzione repubblicana” connessa a un “rifluire di ideologie reazionarie, di speranze di rivincita di sconfitti dalla storia”.

Ma la tesi revisionista sostiene che il degrado economico del Sud abbia avuto inizio dopo il Risorgimento a causa delle politiche del governo unitario poco attente alle necessità meridionali.
Secondo gli elaborati di Francesco Saverio Nitti, l’origine della questione meridionale ebbe inizio quando il capitale appartenuto alle Due Sicilie, oltre a contribuire maggiormente alla formazione dell’erario nazionale, fu destinato in prevalenza al risanamento delle finanze settentrionali, nella fattispecie in Lombardia, Piemonte e Liguria.

Nitti enunciò, attraverso la sua ricerca statistica, che i fondi di sviluppo furono stanziati maggiormente nelle zone settentrionali, fu istituito un regime doganale che trasformò il Sud in un mercato coloniale dell’industria del Nord Italia e la pressione tributaria del meridione risultò maggiore rispetto al settentrione. L’economia del Mezzogiorno, sfavorita da un sistema doganale di stampo protezionistico, che favoriva le industrie del nord Italia, permettendo ad esse di non soccombere di fronte alla concorrenza straniera.

Giustino Fortunato, accusando un indebitamento del Banco di Napoli di un milione di lire in tre anni, coniò il termine “carnevale bancario” per indicare il trasferimento di capitali del sud destinati alle industrie e agli istituti di credito del nord.

Il revisionista Nicola Zitara mosse denunce nei confronti degli industriali Carlo Bombrini, Pietro Bastogi e Giuseppe Balduino, indicandoli tra i maggiori responsabili del crollo economico del meridione dopo l’unità.

Nel 1954, l’economista piemontese Luigi Einaudi, nella sua opera Il buongoverno disse: «Sì è vero che noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato italiano dopo la conquista dell’unità e dell’indipendenza nazionale. Peccammo, è vero di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio nazionale e ad assicurare alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale. Noi riuscimmo così a far affluire dal Sud al Nord una enorme quantità di ricchezza».

La mancata riforma della suddivisione delle grandi proprietà terriere in Sicilia fù uno dei fattori all’origine della conflittualità tra Garibaldi e le masse contadine. Infatti, erano stati numerosi i contadini che, spinti dal malcontento verso lo stato borbonico dovuto alle cattive condizioni dei lavoratori agricoli, si erano uniti ai Garibaldini. Ma le loro speranze di mutazione della situazione esistente erano andate deluse. Come la mancata attuazione dei decreti che Garibaldi, che una volta assunta la dittatura sull’isola, emanò circa l’abolizione sia di diverse tasse su prodotti agricoli, sui canoni sulle terre demaniali, generando ulteriore malcontento. Il primo a sollevare questo dibattito fu Antonio Gramsci.

Contrariamente a quanto affermato della storiografia più diffusa, i revisionisti mettono l’accento sul fatto che le ferrovie duosiciliane, le prime in Italia con la tratta Napoli-Portici, non erano un “giocattolo del Re“, ma avevano funzioni di trasporto pubblico e commerciale, come si desume dall’esistenza di tariffe di trasporto per persone, animali e merci. Già nel 1843, fu inaugurato il tratto Napoli-Caserta, prolungato fino a Capua nel 1845; seguito dal tratto Nola-Sarno nel 1856, mentre parallelamente era già stata prolungata la Napoli-Portici fino a Castellammare.

I lavori per le ferrovie ed il materiale rotabile erano affidate al Real Opificio di Pietrarsa ed alle fabbriche dell’indotto. Dopo l’unità d’Italia, il governo dittatoriale di Garibaldi concesse alla ditta Adami e Lemmi l’esclusiva delle ferrovie per il sud Italia. Il governo piemontese, però, non convalidò questa concessione, che fu affidata alla Società Vittorio Emanuele.

Dopo l’unificazione della penisola, oltre ad un aggravamento della situazione economica del Mezzogiorno, si ebbe un vertiginoso fenomeno migratorio, quasi inesistente nel Sud prima del Risorgimento. Le statistiche sull’emigrazione mostrano un numero notevole di partenze dal Mezzogiorno verso l’estero dopo l’Unità, per l’aggravarsi della situazione contadina.

L’emigrazione post-unitaria interessò anche il settentrione, in cui l’ondata migratoria fu maggiore rispetto al meridione nei primi anni di unificazione ma a partire dal ’900 i flussi si intensificarono esponenzialmente anche nel sud. Il Veneto (tra gli ultimi territori annessi), risultò la regione con il più alto tasso di espatri tra il 1876 ed il 1900. Nel 1901, l’allora presidente del consiglio Giuseppe Zanardelli, in visita in diverse città del meridione, giunse a Moliterno (Potenza) e fu accolto dal sindaco che lo salutò “a nome degli ottomila abitanti di questo comune, tremila dei quali sono in America, mentre gli altri cinquemila si preparano a seguirli“.

Un precursore della narrazione in controtendenza, se pur in forma poetica, degli avvenimenti precedenti e seguenti l’unificazione, è stato Ferdinando Russo. Giornalista de “Il Mattino” di Napoli, all’epoca diretto dal fondatore Edoardo Scarfoglio, Russo si dilettava nello scrivere “macchiette”, vale a dire nel tratteggiare caratteri tipici dell’ambiente partenopeo usando la poesia o la prosa.

Lo scrittore napoletano dovette difendersi più volte in tribunale dall’accusa di vilipendio delle istituzioni, come racconta egli stesso in una delle sue opere, dato che i suoi personaggi esprimevano sovente critiche feroci contro lo stato di cose del tempo. La macchietta popolare “‘O pezzente ‘e San Gennaro”, pubblicata sul Mattino nel 1898, portò al sequestro del giornale su ordine del procuratore del re, in quanto il personaggio ritratto esprimeva sentimenti filoborbonici.

Russo subì la perquisizione del proprio studio e fu mandato sotto processo. Dovette inoltre assistere alla comparsa di un articolo di fondo a firma di Scarfoglio, intitolato “Il terribile anarchico Ferdinando Russo”, in cui il direttore ne prendeva le difese.

Successivamente a questi avvenimenti, Russo scrisse altre due opere in versi, le quali tratteggiano dalla parte dei vinti le circostanze della morte di Ferdinando II, e le condizioni in cui versarono i soldati del disciolto esercito delle Due Sicilie dopo l’unificazione. La rilevanza di tali opere artistiche sotto il profilo storico deriva dal fatto che entrambe furono composte trasponendo in versi interviste realmente effettuate a testimoni delle vicende narrate. Nella poesia del 1910 “’O Luciano d’o Rre”, Russo narra la vicenda dell’ultimo viaggio di Ferdinando II, avvenuto tra Napoli e Bari tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 1859, in occasione dell’arrivo nelle Due Sicilie di Maria Sofia di Baviera, promessa sposa di Francesco II.

Le vicende vengono descritte attraverso la voce narrante di Luigi, uno dei quattro marinai che costituivano la guardia del corpo segreta del re, che molti anni dopo i fatti esercitava il mestiere di ostricaio. Nella poesia si racconta della vita di Santa Lucia negli anni precedenti l’unificazione come di un periodo di grande abbondanza e felicità per gli abitanti, dove anche nelle classi più umili si riusciva a provvedere senza sforzo ai bisogni della vita ed in generale si viveva una certa agiatezza.

Si fa a tal proposito specifico riferimento al fatto che le famiglie avevano tutte di che dotare le ragazze che andavano in moglie, all’abbondanza di monete d’oro e d’argento in circolazione, ed alla virtuale assenza di tasse. Viene inoltre suggerito che la causa reale della morte di Ferdinando II, già ammalato, sia stata una tazza di cioccolata avvelenata fattagli bere dall’arcivescovo di Ariano Irpino, monsignor Michele Caputo, presso il quale la comitiva reale si era rifugiata durante il viaggio per sfuggire al maltempo.

Più avanti, viene sostenuto che l’entrata dei piemontesi, descritti come “senza neanche la camicia”, a Napoli sarebbe avvenuta solo grazie ad una serie di tradimenti, e che una volta in città, essi avrebbero saccheggiato Palazzo Reale, sottraendo una gran quantità di beni.

Nell’opera “’O surdato ‘e Gaeta”, Russo narra dell’incontro con il settantottenne Michele Migliaccio, un reduce dell’assedio del 1860-61, rimasto mutilato di un braccio a causa dello scoppio di una granata l’ultimo giorno dei combattimenti, e finito all’Albergo dei Poveri di Napoli. Nel racconto del soldato si ritrovano temi come il tradimento di diversi ufficiali dell’esercito come causa della disfatta; il coraggio dimostrato da Francesco II e da Maria Sofia durante l’assedio; e la spietatezza degli assedianti (e in particolare di Cialdini) sia nel rifiutare di accogliere gratuitamente i cavalli che morivano di fame nella fortezza, che nel continuare il bombardamento della piazza anche durante le trattative per la resa.

I versi riportano un accenno alla sorte miserabile toccata ai reduci (cui in violazione degli accordi di capitolazione non fu erogata la paga pattuita) molti dei quali erano morti di fame o si erano ridotti a fare lavori umilissimi. La poesia si conclude con un’immagine di toccante dignità del soldato, che nasconde la medaglia al valore guadagnata a Gaeta sotto la giubba dell’Ospizio, dato che sarebbe stata disonorata dall’essere appuntata sulla divisa dei poveri”.

Seguici anche su Facebook. Clicca qui per diventare fan della nostra pagina ufficiale

Ultima ora:
Torino, neonata incastrata con la testa tra i mobili: morta a pochi mesi

Bangladesh, 19enne bruciata viva: aveva denunciato molestie

Loading...
Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com