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Spettacolo

Gianluca Grignani si racconta: “Non dimenticherò mai quella frase di Lucio Dalla. Ho perso due diottrie a un occhio”

Gianluca Grignani si racconta tra passato, presente e futuro, il cantautore parla a cuore aperto da Pierluigi Diaco a ‘Io e te di notte’

Gianluca Grignani si racconta: “Non dimenticherò mai quella frase di Lucio Dalla. Ho perso due diottrie a un occhio”. Il cantautore parla a cuore aperto in una lunga intervista rilasciata ai microfoni di Pierluigi Diaco nel corso della trasmissione ‘Io e te di notte’.

Fatti dare un abbraccio vero… Grazie di cuore. È la prima volta che sono seriamente in imbarazzo
“Ci siamo frequentati per tantissimo tempo, sei stato a casa mia io a casa tua…”.

Però è qualche anno che non ci vediamo
“Sì saranno due o tre anni”.

Tu mi hai insegnato una cosa quando ero una testa calda e cioè che essere sinceri e leali paga sempre.
“Ti guardi meglio allo specchio e poi comunque è la strada più veloce per non sbagliare. Perché a dire una balla è sempre difficile rincorrerla, quindi è sempre meglio dire le cose come stanno a se stessi e con gli altri bisogna mediare. Ma questa è l’età prima non mediavo, adesso medio”.

Noi ci siamo incontrati in questa azienda a Radio Rai, io avevo in braccio una chitarra venne questo ragazzo pieno di talento con un disco dal titolo “La fabbrica di plastica” e mi sono riconosciuto in lui perché per la mia generazione e per molti altri hai rappresentato la libertà autoriale, la libertà intellettuale e allora eri talmente giovane che non avevi il carattere per difendere la tua libertà.
“No ed ero solo. L’immaturità stava nel non rendersi conto di quanta forza avevo anche se ero solo. Quindi poi la forza l’ho trovata nel tempo e ho capito che la strada giusta l’avevo già presa però non ero in grado di capirlo perché gli altri tendono a non fartela vedere quando tu sei da solo e quando hai fatto qualcosa che loro non hanno ancora fatto”.

Non hai mai avuto tanta paura della solitudine tu…
“Non lo so, secondo me esistono tre tipi di uomini: quelli che nascono e sanno stare da soli e spesso muoiono da soli ed è bruttissimo; quelli che imparano a stare da soli e quelli che non impareranno mai. Noi italiani viviamo sotto un matriarcato, siamo mammoni e io, nonostante avessi un rapporto distaccato con mia madre (siamo un po’ freddi l’uno con l’altra) le voglio un gran bene e ho dovuto imparare ad essere un uomo che sa stare da solo”.

C’è una parte bambinesca che secondo te negli esseri umani si conserva nel tempo
“La sincerità in primis, almeno nel mio caso, e l’integrità. Da bambino ti senti libero di pensare quello che vuoi. Crescendo il sistema tende a togliere questo tipo di attenzione a te stesso. Io credo di conservarla, magari anche in maniera abbastanza ribelle ma credo che sia una ribellione sincera e giusta. Anche perché se uno non si ribella le cose non cambiano mai, per crescere bisogna ribellarsi altrimenti si rimane statici”.

Secondo te ci si può ribellare rimanendo innocenti?
“Sì basta non vincere, basta fare una rivoluzione che non funziona mai”.

Con il senno del poi cosa diresti al ragazzino che sei stato?
“Direi che siamo diversi, non c’è niente da fare. Tu ci credevi troppo e io ci credo ancora di più. Siccome sono sempre in conflitto con quello che ho fatto e quello che farò non mi sento mai arrivato quindi non riesco a darmi un giudizio. È un divenire per me, non riesco a vedere un punto fermo nella mia vita. Mi vedo sempre in movimento, mi auguro in crescita e migliorato. Se riesco, a migliorarmi nel bene, perché si può migliorare anche nel male, basta scegliere. Io mi sono barcamenato tra i due fronti e credo di potergli dire (a quel ragazzino ndr) ‘vai avanti così però vai’, ‘non ti fermare’, ‘credici’.

Ti posso chiedere come nasce e dove il testo di questa canzone?
“Questo testo è nato nella cucina della casa di mia madre. Dovevo scrivere una canzone che funzionasse subito ed ero combattuto come sempre tra lo scrivere appunto una canzone che funzionasse subito e dire le cose che mi sentivo dentro. Non avevo ancora capito come funzionasse il mondo dello spettacolo e della musica, cosa volesse dire varcare quella soglia del successo, e ovviamente non sapevo neanche che l’avrei mai avuto. La gran parte dell’attenzione era dedicata a fare una canzone che funziona. Quindi per non farmi del male ho pensato bene di fare la musica in maniera tale che fosse molto precisa, che convincesse: mi sono ispirato ad “Acqua azzurra acqua chiara” di Battisti”.

Gianluca Grignani e i progetti futuri

In questo ultimo disco a cui hai lavorato sei passato in termini di stesura del disco dal tuo primo strumento che è la chitarra al piano
“Sì io il piano lo suonavo male, lo suono ancora male, rimarrò sempre un neofita di qualsiasi strumento che non sia la chitarra che coltivo e studio. Però ho capito che sono bravo a  creare armonie, come compositore al piano, perché il piano è un’orchestra: ha tutte le possibilità che vuoi. La chitarra è limitata dal punto di vista armonico, mentre il piano ti permette di fare soluzioni armoniche diverse. Io amo molto come scrive Elton John e quando ho cominciato a suonarlo – lui è molto particolare, alcuni accordi vengono addirittura dalla guerra di secessione – ho scoperto che mi funzionavano, mi venivano bene. Allora mi sono detto “vai avanti” e ho cominciato a scrivere in maniera diversa…”.

Che cosa provi quando riascolti le tue canzoni?
“Devo stare attento quando passano le cose in radio perché se è appena uscito il singolo mi preoccupa, perché devo sentire come suona in radio. Sono tecnico, divento matto. Infatti nell’ultimo lavoro che ho fatto, siccome l’ho fatto nel mio studio, sono stato talmente attento a tutti gli ascolti possibili che so che suona bene e infatti la prima volta che l’ho sentito, ho detto: “cavolo funziona” (“tu che ne sai di me” il nuovo singolo ndr)”.

Mi hanno detto che sei diventato un po’ nerd
“Ho perso due diottrie dall’occhio destro, Pierluigi”.

Hai passato due anni davanti ad un computer, sei passato dal pro tools ad altre forme di programmi. Tu a differenza di molti tuoi colleghi hai cercato un suono contemporaneo avvalendoti della collaborazione di ragazzi ventenni
“Sì ho lavorato con questi ragazzi che sono giovanissimi, Michele Zocca, Enrico Magnanini, Andrea Fagiuoli che adesso lavora con me a stretto contatto”.

Sono testardi come lo eri tu a vent’anni?
“Sì, uno soprattutto, non dico chi e mi ci sono scontrato. Ora sono distribuito da una major e ho mantenuto i contatti i più amichevoli possibili, è un interesse mio, però ora sono libero. Libero come lo ero prima di firmare un contratto. Ho fatto un’etichetta che è la “Falco a metà” e il primo pezzo che è uscito è prodotto dalla mia etichetta, dal mio studio. Quindi ho dovuto studiare quello che non avevo fatto in analogico, quello che ho imparato in America, Abbey Road, con la quale sto lavorando”.

Ho avuto la sensazione che è come se si chiudesse un cerchio, che la fabbrica di plastica sia stata l’anticamera di quello che sarebbe accaduto molti anni più tardi attraverso questa etichetta
“La fabbrica di plastica secondo me è diventata realtà. Tu devi considerare una cosa: io ho una visione di me stesso distaccata rispetto a quando ero ragazzo però comincio ad avere 47 anni”.

Come ti guardi?
“Cerco di guardarmi dall’esterno. È un po’ come fare una dieta: tu dici “mangi un po’ di meno, poi un po’ di meno e a furia di mangiare un po’ di meno riesci a dimagrire qualche chilo”, la stessa cosa quando hai un sogno, ti avvicini un passo dopo l’altro e se molli sei fregato. Come leggere un libro, una pagina dopo l’altra. Una volta tu mi dicesti una frase bellissima a proposito dei libri, che ancora oggi uso io: “Gianluca io li ho lisi i libri”.

Bella questa cosa che “falco a metà” e “la fabbrica di plastica” sono diventati i leitmotiv della tua nuova sfida professionale. Ma lo studio, questi spazi sono nella tua casa?
“Questo singolo è il primo di 60 brani che ho scritto, dovrà uscire una trilogia che si chiamerà verde smeraldo. Quindi ci sarà verde smeraldo uno, verde smeraldo due e verde smeraldo tre. Prima dello studio c’era soltanto un letto, una chitarra e un rods e adesso al posto di quel letto, chitarra e rods c’è uno studio”.

In questo nuovo lavoro, che è un modo un po’ inusuale di uscire con un disco perché uscirà un secondo singolo poi un terzo singolo, poi uscirà l’album ed è la prima tappa della trilogia… Possiamo dire che è la rivoluzione che pensavi quando eri ragazzo? Che cosa si intende per rivoluzione?
“Penso che la rivoluzione è un modo di essere capaci di seguire quello che succede ed adattarsi, però non fare quello che ti dicono ma fare quello che tu ritieni sia la tua personalità, nel mio caso specifico è la musica. Parto da un concetto, ascoltare quello che mi succede intorno e cercare di trasformare la musica che faccio nel momento che vivo”.

Gianluca Grignani torna dopo tre anni

Quando senti usare la parola “cambiamento” che pensi? ti convince?
“È una domanda ostica. Penso che ci sia un disincanto totale per quel che riguarda la politica, ogni atteggiamento di un cittadino, di un italiano in questo momento specifico è un atteggiamento di chi non sa cosa succederà. Perché la politica tende ad essere masochista, è fagocitata da se stessa: non è possibile che io apro un giornale di gossip e vedo in prima pagina il presidente del consiglio di oggi, pensano che la gente non se ne accorge. Siamo abituati a farci i selfie ormai. È diventato ridicolo”.

Io sono avverso all’era digitale
“Il problema è quando viene usata dalla politica in maniera così poco ortodossa”.

Ho visto che tu usi in maniera molto parsimoniosa i social…
“Sai chi è stato il primo a farsi un selfie? Il Parmigianino che si fece un autoritratto allo specchio. I pittori però dipingevano la propria anima, noi ci facciamo un selfie e guardiamo alla nostra apparenza”.

Ma è un surrogato della felicità per tentare un riscatto dalla vita reale?
“Ma è bruttissimo se fosse così. Nessuno dovrebbe considerare il fatto di vivere una vita in maniera meno appagante rispetto a chi vive sotto i riflettori. Io faccio questo lavoro perché sono un musicista e sono costretto a farlo…”.

Ma tu guardi la tv?
“Guardo le serie. La tv la guardo di meno, dipende dai programmi… Tu mi piaci se no non sarei qui. Non credo nel monopolio”.

Dove hai registrato il disco ‘Campo di pop corn’?
“Quel disco l’ho fatto dove John Lennon ha registrato “double fantasy” a NY. L’abbiamo sentito insieme diverse volte, Pierluigi. Siamo amici noi…giravamo ore in macchina a Milano cercando sushi…

Hai imparato a cucinare? Ti piace mangiare?
“Sono sempre a dieta ultimamente”.

Hai visto che in tv spadellano tutti?
“Sembra che gli chef siano diventati dei religiosi ormai”.

“La Libertà è fatica”, diceva Lucio Dalla.
“Quello che ha detto è emozionante. Sentire il suono della sua voce ferma… lui osservava gli altri vedendo in loro quello che essi stessi non vedevano. Così fece con me. Un’estate mi chiamò per fare una cosa su un suo disco e io dissi: “devo venire a cantare?” e lui disse: “no devi venire a suonare”. Andai da lui suonai e mi disse non sanno ancora che grande chitarrista sei, questo prima del grande riconoscimento della fabbrica di plastica. Era un visionario, devo molto a lui: mi ricordo che una volta stavamo registrando un programma con lui, dissi una cosa fuori dalle righe e per questo tutti mi attaccarono. Lui disse “no va bene così, solo lui fa così”. Ha parlato di libertà, è difficile difendere la libertà bisogna avere la dignità e la dignità è difficile da sostenere perché devi scegliere”.

Si può avere libertà senza temperamento? senza carattere?
“Si può seguire la libertà. Ecco perché è servo colui che segue chi prende le decisioni per te, perché esistono le bandiere e la politica ti frega”.

Te lo ricordavi questo passaggio?
“Mi ricordo perfettamente quello che ha detto e mi è rimasto impresso nella memoria e non me lo dimenticherò mai. Così come il modo in cui l’ha detto… che dice tutto”.

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