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Spettacolo

Cochi Ponzoni si racconta: “Io e Renato separati per 1 motivo. Mi credono morto, una commessa si è spaventata”

Cochi Ponzoni si racconta ripercorrendo le tappe della sua carriera in una lunga intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Fatto quotidiano’

Cochi Ponzoni si racconta: “Io e Renato separati per 1 motivo. Mi credono morto, una commessa si è spaventata”. Uno dei membri insieme a Renato Pozzetto del duo ‘Cochi e Renato’, 50 anni di palconescenici calcati, ripercorre le tappe della sua carriera in una lunga intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Fatto quotidiano’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Senza ansia, è una rarità.
“Sempre stato un incosciente, non ho mai subito particolarmente le difficoltà; eppure l’ esordio è arrivato prestissimo: già a 14 anni mi esibivo all’ oratorio con canzoni popolari, alcune anarcoidi”.

E andava per locali
“Quello poco dopo: a 16 anni uscivo la sera con Renato; noi due avevamo molta libertà di movimento, forse troppa, tornavamo a casa tardissimo, e solo ogni tanto ho preso qualche cazzotto da mia madre. Ma veramente ogni tanto, perché non si preoccupava, infatti è morta a 101 anni (riflette). E così ho conosciuto sia Gaber che Jannacci”.

Gaber era il suo insegnante di chitarra.
“Esatto, ed è stato proprio Giorgio a presentarmi Enzo: una sera entro in un locale e lo trovo avvolto dal suo pianoforte. Appena l’ ho sentito cantare, me ne sono innamorato, le sue parole arrivavano da un’ altra dimensione personale, culturale e morale”.

Addirittura.
“Enzo è stato un punto di riferimento, ci ha regalato la sua amicizia e ci ha insegnato la disciplina; e poi ci passava dei testi importanti da leggere come Mrozek, Ionesco o gli autori russi”.

Scuola di vita.
“All’ inizio teneva anche i contatti per noi, ci aiutava nella produzione e senza mai interessarsi a un ritorno economico. Era solo per amicizia. Ed è grazie a lui se siamo riusciti a firmare per la Rca, a Roma”.

Allora, una potenza.
“Ricordo un appuntamento proprio a Roma, e dai discografici: Enzo porta Vengo anch’ io, no tu no, e noi La gallina. Entrambi i brani li ascolta un celebre conduttore radiofonico e resta totalmente inorridito”.

E …
“Organizzano una riunione con tutti i dirigenti, e lì Enzo parte con un monologo di dieci minuti, un monologo completamente incomprensibile, una sorta di supercazzola in stile Amici miei, dove ogni tanto si comprendeva un vocabolo, solo uno, fino a concludere il tutto con un moto d’ imperio: “Per noi va bene così”. Discorso chiuso”.

Aveva ragione Jannacci.
“Eccome, poi si sono tramutati in due grandi successi anche se ancora oggi né io né Renato abbiamo capito del perché La gallina è così amata (cambia tono). Davvero, Enzo ci seguiva solo per amore, una volta ho sentito una telefonata paradossale, nella quale rifiutava un paio di ingaggi importanti e solo “perché devo stare con Cochi e Renato”.

Anche Jannacci partecipava alle vostre prime esibizioni al bar?
“Era un ambiente multicolore: c’ era quello di passaggio, quello stabile, il gruppo di amici, amici improvvisati, e lì si creava inconsapevolmente e altrettanto inconsapevolmente acquisivamo i primi rudimenti di un mestiere, fino a quando ci hanno consigliato di riproporre su un palco vero le scenette che improvvisavamo tra quei tavolini”.

Vi interessava la politica?
“In quegli anni tutto era politica (ride). Comunque allora potevi cadere in qualunque situazione: ci ingaggiano per una serata ad Arezzo, era di lunedì, quindi giorno di pausa, e con un buon cachet. Ci ritroviamo sul palco di un circolo culturale, io e Renato iniziamo, ma neanche una risata. Gelo in sala. Tocca a Jannacci che intona Il primo furto non si scorda mai, in cui c’ è una strofa che recita “quel tacchino micidiale era un’ aquila imperiale”, con chiaro riferimento ironico al fascio”.

E qui applausi, ad Arezzo.
“Al contrario iniziano a piovere monetine e insulti sempre più pesanti, un crescendo, fino a quando Teocoli, presente in platea, si lancia in una scazzottata incredibile. Da solo. E conclusa con un bel viaggio insieme alla celere”.

Addirittura.
“Non avevamo capito che quello era un circolo di fascisti che si chiamava “Giovani d’ Italia”: eravamo finiti in una trappola”.

Che trappola?
“Scritturati per umiliarci”.

Qualcosa di simile la racconta Jacopo Fo nel libro dedicato ai genitori.
“Allora poteva accadere (cambia tono). Dario ci ha regalato momenti irripetibili e, dietro alla reale bellezza o apparente leggerezza, nascevano vere lezioni di teatro che si tramutavano in strumenti di vita”.

Un esempio.
“All’ inizio dell’ estate, io e Renato scappavamo da Milano per raggiungere Dario e Franca Rome a Cesenatico; un giorno, in spiaggia, proprio Dario si alza in piedi, si piazza sul bagnasciuga e poco dopo inizia a gridare di un naufragio all’ orizzonte. Ed era convincente. Quindi I turisti iniziano a fermarsi e in pochissimo tempo si raduna un gruppetto di persone; noi due capiamo la situazione, ci alziamo e offriamo il nostro contributo: qualcuno dei presenti ipotizzava la presenza reale di quel naufragio, una sorta di suggestione collettiva e indotta. Così all’ improvviso siamo stati protagonisti di una grande lezione di recitazione: l’ attore deve far credere, credendoci. Ah, ovviamente c’ era Jannacci”.

Cochi Ponzoni si racconta: “Mi credono morto, una commessa si è spaventata”

Sempre insieme.
“Come dicevo, eravamo un gruppo indissolubile di amici, sodali, parenti non di sangue. Quando è morto Enzo è come se avessi perso una gamba (Sorride). Un anno siamo partiti per l’ India e il viaggio è durato un mese, ci sentivamo come i Beatles”.

Torniamo al bar: in quel gruppo c’ erano Manzoni, Fontana e Buzzati Ed era normale proseguire insieme fino a mattina, invertire la notte con il giorno e magari crollare per il sonno sui banchi di scuola. Manzoni folle.
“Aveva una concezione propria del pericolo, da artista sentiva l’ esigenza di affrontare in faccia i rischi; personalità come la sua hanno gonfiato il nostro coraggio con la loro filosofia di vita e relativizzato una concezione del mondo che già a Milano si stava avviando verso una mera valutazione economica”.

Il “Derby”.
“Un successo esagerato, ma i nomi in scena allora erano importanti: su uno stesso palco salivamo io e Renato, poi Felice Andreasi, Lino Toffolo, Enzo Jannacci e Bruno Lauzi. In certe fasi avevamo tre spettacoli nella stessa serata e la fila fuori di due o trecento persone”.

Come avete impiegato i primi soldi guadagnati?
“Ci siamo sposati tutti e due e a distanza di una settimana: non potevamo insieme per non interrompere il lavoro”.

Nel libro dichiara: “Perfino la malavita era romantica”.
“Di alcuni sapevamo che erano ladri o truffatori, ma possedevano uno spirito dissacrante e una forza rara; era gente del popolo, era antropologia, personalità di ringhiera, e da loro abbiamo “rubato” parte del nostro linguaggio”.

Un suo difetto?
“Sono pigro, se potessi non combinerei nulla: per me il massimo è restare in casa per suonare la chitarra”.

Con voi la chitarra è stata spesso protagonista in tv In quel contesto non sempre ci hanno capito.
“All’ inizio non sempre era semplice. A volte potevamo suscitare sentimenti di fastidio, apparire come dei pazzi, ma siamo riusciti a far passare dei messaggi per allora rivoluzionari”.

Tipo?
“Negli sketch dedicati alla scuola, i dirigenti della Rai non avevano capito che una delle scenette era incentrata su un professore povero che cercava di farsi corrompere da un genitore facoltoso, quella del “bravo 7+”. Ancora sorrido se penso agli occhi sbarrati del pubblico seduto in platea”.

Quando è tornato in tv nel 1992, Paolo Rossi ha detto: “Nella vita dell’ uomo ci sono tre misteri: cosa ha fatto Gesù da 12 ai 30 anni; cosa ha fatto Silvio Berlusconi dal 1960 al 1975; cosa ha fatto Cochi Ponzoni dal 1979 a oggi”.
“Poco prima della trasmissione gli avevo confidato un episodio del giorno precedente: ero entrato in un grande magazzino, e mi sentivo osservato. Nulla di strano, ero abituato. Però la commessa insisteva e con uno sguardo strabuzzato: “Perché mi guarda così?”, le domando. E la ragazza: “Credevo fosse morto”.

E poi?
“Io e Renato abbiamo preso strade differenti, ma in amicizia, ognuno con le sue scelte, e in quel periodo avevo scoperto il teatro di prosa, avevo conosciuto Ennio Flaiano”.

Mentre Pozzetto ha puntato sul cinema.
“I film li hanno proposti anche a me, qualcuno l’ ho accettato, ma erano gli scollacciati dell’ epoca, quelli con la Fenech perennemente sotto la doccia, e mi sono subito fermato”.

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