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Coronavirus, Vasco Rossi: “All’improvviso è crollato il mondo addosso. Artisti? In Italia c’è un concetto sbagliato”

Coronavirus, Vasco Rossi parla della pandemia a ‘Il Corriere della Sera’

Coronavirus, Vasco Rossi: “All’improvviso è crollato il mondo addosso. Artisti? In Italia c’è un concetto sbagliato”. Il cantautore parla dei problemi creati dalla pandemia in una lunga intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Tu dove eri quando è esploso tutto l’ambaradan?
«Ero a Los Angeles. Quando ho cominciato a capire che la faccenda diventava seria ho cercato di rientrare in Italia».

Erano i primi di marzo
«Esatto. Prima sembrava una cosa così, che riguardava solo la Cina. Poi sì, è arrivata anche da noi, ma non mi ero reso conto, non pensavo sinceramente alla pandemia. Poi ho cominciato a capire e volevo rientrare, ma ho iniziato a trovare problemi: è stata un’odissea: praticamente ogni volta che trovavo un volo poi veniva cancellato».

Alla fine sei rientrato con l’ultimo volo
«Ecco, il bello è questo, sono tornato con l’ultimo volo che partiva da Los Angeles: il giorno dopo gli Usa hanno chiuso tutti quelli con l’Europa».

Il lockdown a te non ha fatto né caldo né freddo. Non uscivi nemmeno prima…
«Sì, c’è da dire che la mia vita sociale non è molto intensa: già non esco, sono più o meno sempre in isolamento. Ma questa esperienza è stata molto forte anche per me… quando non potevo uscire neanche per una passeggiata mi sembrava una cosa pazzesca e poi non capivo il motivo: perché, dicevo, se vado da solo…».

Ti era venuta voglia di uscire adesso che era proibito, è così?
«Beh è chiaro, quello è un po’ il senso… quando una cosa non la puoi fare…».

Quando hai realizzato che la stagione saltava all’anno prossimo, con tutta la preparazione dei cinque megaconcerti, come l’hai presa?
«Ho iniziato a capire durante il lockdown. Ho cominciato a pensare: ma questa storia è difficile che possa risolversi in fretta. L’impossibilità di avere contatti fisici creava la condizione per cui non si potevano fare concerti nemmeno a giugno. A quel punto mi è crollato il mondo addosso: è da un anno che seguiamo questo progetto, ci avevamo già lavorato, già fatto tutti gli arrangiamenti, io ero già pronto per partire…»

Ma la cosa più difficile è stata dover ammazzare il tuo entusiasmo perché eri carico o dire a tutti i tuoi: signori si salta?
«Un po’ tutte e due. Per me fare i concerti è importante anche dal punto di vista psicologico. Io per fare i concerti mi devo tenere in forma, non mi devo lasciare andare: è un motivo per svegliarmi la mattina. Senza i concerti mi casca un po’ tutto. Pensavo si potessero rimandare a settembre, ma quando ho capito che anche lì sarebbe stato impossibile, ho preso la cosa di petto, mi sono detto “va bene saltiamo un anno e pensiamo a non ammalarci”».

È meglio tirare a campare che tirare le cuoia.
«Esatto».

Un grande artista può permettersi di saltare una stagione o anche due, ma per tutti quelli che campano di questo, per cui saltare anche solo una data vuol dire non sapere come pagare l’ affitto! Solo attorno a un tuo concerto ruotano quasi 1800 persone…
«Infatti, di solito la gente non lo sa».

Sono invisibili, è come se il concerto fosse rappresentato solo da chi è sul palco…
«Invece c’è un mondo di persone che lavora. È stato il pensiero che mi è venuto: come fanno tutti questi che rimangono senza lavoro, che hanno difficoltà molto più grandi delle mie dal punto di vista economico. Io posso stare un anno fermo».

E quindi cosa hai fatto?
«Avevamo pensato di fare un fondo di solidarietà dove noi artisti avremmo, ognuno secondo le proprie sensibilità, depositato delle cifre. Avevo sentito anche Jovanotti, erano tutti d’accordo».

Anche Laura Pausini, no?
«Sì, anche lei, io la chiamo Pausella, le voglio molto bene. Lei ha avuto l’idea di fare una lettera aperta e di firmarla tutti e chiedere aiuto a Conte, perché agli inizi di marzo quei lavoratori non erano neanche considerati».

No, li hanno considerati settimana scorsa e hanno stanziato un miliardo di euro per musica, teatro, cinema.
«Ecco, voglio pensare che sia stato anche grazie a noi artisti, dopo questa lettera che è stata firmata da tutti. Poi ci siamo detti: perché non costituire un fondo di sostegno per i lavoratori dello spettacolo? Ma il problema è a chi affidarlo: non c’era un’organizzazione, è una cosa abbastanza complicata».

Però c’è tra di voi la volontà di discuterne per dire: tiriamo tutti fuori un po’ di soldi?
«Sì, certo. Noi siamo disponibili, tutti gli artisti, penso. Intanto abbiamo pensato ognuno a proteggere i propri: io proteggo i miei collaboratori; penso alla mia squadra, una trentina di persone più o meno. Ognuno pensa ai propri, così siamo sicuri che quello che facciamo arriva. Poi c’è questo decreto… 600 euro saranno pochi, ma li riconosce anche ai lavoratori di quel tipo, è importante. In Italia c’è questo concetto che gli artisti sono considerati personaggi tra il circo e l’orchestrina: non sono considerati cultura».

Ma il pil prodotto dalla cultura, a partire dalle biglietterie – tre milioni di biglietti venduti solo per concerti – è un pilastro. È più trascurata dalla politica, ma non saprei se la gente la considera non importante, visto che l’ arte può rendere più sopportabili le giornate peggiori…
«La gente si rende conto benissimo di cosa vuol dire non averla. Per chi frequenta concerti, non potersi trovare tutti ammassati… il bello è quello, potersi assembrare. Noi abbiamo il problema che se non possiamo assembrarci non ci divertiamo. Quando ci potremo riassembrare? Vorrei che gli scienziati si dessero da fare un po’ di più, che trovino questa cura…».

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