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Spettacolo

Renzo Arbore si racconta: “Gli altri amministratori, io creativo. Ho un solo rimpianto. Il mio erede è Fiorello”

Renzo Arbore si racconta in una intervista a ‘La Repubblica’

Renzo Arbore si racconta: “Gli altri amministratori, io creativo. Ho un solo rimpianto. Il mio erede è Fiorello”. Il conduttore a cuore aperto in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘La Repubblica’.

Dall’8 giugno torna in tv con un varietà dal titolo Striminzitic show, su Rai 2; debutto in prima serata […] Arbore, di striminzito in questo show però c’ è poco.
«Stando a casa mia con due cameramen, senza studio, per me è un programma “domestic” e “striminzitic”. È davvero una scommessa. Solo l’ idea di aver fatto tutte le riunioni su Zoom, lavorando a distanza, è un esperimento: giovedì ci siamo incontrati tutti insieme per la prima volta».

Che significa per lei tornare in tv?
«Tornare al mio lavoro in Rai, che considero la mia milizia. Stiamo attingendo da ben diciotto format, da Speciale per voi fino a Non è la Bbc. Nella mia vita ho fatto malefatte di ogni tipo: sono andato a Sanremo, ho fatto due film, gli show, i concerti; guardando indietro non posso lamentarmi. Gli altri sono ottimi amministratori, io mi considero un creativo».

Come ha organizzato le puntate di “Striminzitic”? Per temi, personaggi, anni?
«No no. Il mio è un “Arbore & friends”, un pot-pourri di follie con colleghi amici. Frassica fa così ridere, e gli sono grato per questo. Sono momenti selezionati anche dal Renzo Arbore Channel, il mio canale che è pieno di curiosità. Ma non è Storia di un italiano, sono frammenti di tv da rivedere».

Renzo Arbore si racconta: “Non partecipo all’agone ma sono un avido telespettatore di talk show”

Con che spirito nasce?
«Super positivo: la gente ha bisogno di sorridere. Sui social, chi vede il Renzo Arbore Channel mi scrive: “Grazie per il sorriso”. Distrarsi un po’ nel momento in cui siamo preoccupati è fondamentale; il mio compito è intrattenere il pubblico. Amo la tv, sono il primo divoratore di programmi».

Anche quelli di politica?
«Non partecipo all’agone ma sono un avido telespettatore di talk show, basandomi sempre sul principio del “pasqualismo” di Totò: “Vediamo dove vogliono arrivare”. Conosce la gag, no? Totò incontra un tizio che lo riempie di schiaffi, gli grida: “Pasquale tieni questo, figlio di un cane, beccati ‘sto cazzotto”. Lui invece di difendersi, ride. A Mario Castellani che chiede: “Perché non hai reagito?”, risponde: “Che importa, mica sono Pasquale, chissà ‘sto stupido dove vuole arrivare”».

Criticano tutti la tv, lei no.
«Abbiamo avuto la televisione più bella del mondo, quella di Bernabei e di Agnes, la Rai di Cattaneo e anche quella della Moratti che guardava con attenzione all’ intrattenimento. Gli americani e gli inglesi se la sognano una tv come la nostra».

Coltiva la nostalgia?
«No, penso che dobbiamo inventare un linguaggio nuovo per l’ intrattenimento. In questi mesi la tv ci ha tenuto compagnia, sono aumentati gli ascolti e qualche riflessione va fatta. Il bordello di prima, ovvero i costumi diventati troppo vivaci – per dirla elegantemente – deve finire; adesso bisogna ragionare, capire che non si vive di solo gossip, risse verbali e cattiverie».

I mesi di lockdown cosa ci hanno insegnato?
«Che conta la competenza, ringrazio chi si è messo al servizio del paese. Ma la guerra no, non è paragonabile all’ emergenza coronavirus. Io venivo da una famiglia benestante e durante la guerra non mangiavamo, vivevamo nel terrore dei bombardamenti, al buio… La fame e quella paura non te le scordi per il resto della vita. Io – lo dico col massimo rispetto nei confronti di chi ha perso i propri cari – resto un positive thinker. Vedo il bicchiere mezzo pieno: abbiamo ancora l’ansia addosso, ma ci riprenderemo».

Renzo Arbore si racconta: “Con l’Orchestra italiana abbiamo 1500 concerti dalla Cina all’ Australia”

Pensa anche che siamo diventati più buoni?
«Non lo so. Ma forse riusciremo a recuperare l’ educazione, che non è una parola antica legata all’ uso delle posate da pesce; è il gesto di togliersi il cappello per salutare anche se non ci si conosce, come succede a Napoli».

È fiducioso sul futuro dello spettacolo dal vivo?
«Dovevo fare i concerti con l’Orchestra italiana, ne abbiamo fatti 1500, dalla Cina all’ Australia. Tutto fermo. Sono preoccupato per i miei musicisti e per tutti gli orchestrali: se non suonano non guadagnano. Sono stati dimenticati dal governo, Conte ha buttato un occhio, ha definito gli artisti “persone che ci fanno divertire”. Sì, di sicuro fanno divertire ma sono lavoratori come gli altri, e hanno diritti pure loro».

Il personaggio del momento?
«Vincenzo De Luca, formidabile. Tempi comici perfetti, dopo aver chiamato “fratacchione” Fabio Fazio ha superato se stesso».

Chi è il suo erede?
«Fiorello. Perché improvvisa e perché porta l’allegria: lo sento il più vicino a me. Alla radio mi piacciono Lillo e Greg, e mi sento in sintonia con Elio (con e senza le Storie tese)».

Un rimpianto?
«Forse quello di non essermi fatto una famiglia mia. Ma ho i nipoti, i ragazzi dell’ orchestra e gli amici, i miei “arborigeni”. Con loro non mi sento mai solo».

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