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Spettacolo

Massimiliano Gallo: “Avvelenati da un razzismo educato. Mi preoccupa un aspetto, l’Italia non può sopravvivere così”

Massimiliano Gallo sul razzismo e non solo, l’attore napoletano si racconta a Vanity Fair

Massimiliano Gallo: “Avvelenati da un razzismo educato. Mi preoccupa un aspetto, l’Italia non può sopravvivere così”. L’attore napoletano sbarca anche su Netflix ne Gli infedeli, il nuovo film di Stefano Mordini, dove interpreta un fedifrago.

[…] come se l’è cavata?
«Nella grande commedia all’italiana c’è sempre stato il racconto dell’uomo infedele o che ha subito infedeltà, il magnifico cornuto, come si dice. Siamo ancora rimasti a un’idea del maschio latino che forse non esiste più: il fatto che l’uomo lo può fare e la donna no è ancora molto radicato. Quando ci furono le storie delle donne di Berlusconi, per esempio, erano tanti quelli che commentavano l’accaduto come una cosa figa. Abbiamo questo retaggio, non c’è niente da fare».

La cultura impone da sempre una diversa considerazione del maschile e del femminile non solo in materia di tradimento.
«Anche nella cultura americana, dove sembrano più attenti, hanno parlato delle attrici che guadagnano un terzo degli attori uomini eppure, una volta uscita la notizia, niente è cambiato. È un discorso che vale anche per la scrittura: ancora oggi è difficilissimo trovare una sceneggiatura con una protagonista donna che porti avanti il film».

La sua compagna Shalana fa l’attrice: anche lei lotta per la conquista dei ruoli?
«Se dico a una persona di media-cultura che la mia fidanzata è una ex modella brasiliana pensa subito che sia una escort: siamo avvelenati da un razzismo educato, mai citato e mai esercitato, ma fatto di piccoli sguardi, descritto con grande genio da quel film bellissimo che è Indovina chi viene a cena. Shalana la chiamano solo per determinati ruoli e, come tutte le donne belle, deve imbruttirsi per fare un provino ed essere presa sul serio. Da poco, però, ha fatto una bella serie per Raidue con Vicari, un bel ruolo, e di questo sono contento. C’è un grande pregiudizio e la cosa brutta è che con il tempo stiamo peggiorando: questa mi fa paura. Un Paese che, in un momento delicato come la pandemia, mette la cultura all’ultimo posto delle priorità non può avere delle chance di sopravvivere».

Massimiliano Gallo: “Vivevo nel mito di mio padre che vedevo in tv e non solo”

Lei, grazie a suo padre e a sua madre, la cultura l’ha respirata fin da bambino, tant’è che inizia a recitare da piccolissimo: è stata una sua scelta?
«Mamma aveva una galleria d’arte a Napoli e una compagnia dei figli nella quale recitavo anch’io. Dopo il liceo classico mi hanno lasciato libero e ho cominciato a lavorare subito: è dall’87 che faccio questo mestiere, anche se fino al 2008 non avevo mai fatto cinema. Poi ho recuperato: negli ultimi anni ho girato 32 film e 15 serie tv, con una media di 4 o 5 cose all’anno».

[…] Che ragazzo era?
«Ero l’ultimo fratello, il cocco di casa. Vivevo nel mito di mio padre che vedevo in tv e che poi andavo a trovare a teatro: raggiungerlo da ragazzino in città come Venezia e Firenze era già di per sé un privilegio. Era il tempo delle compagnie straordinarie, di Beppe Barra e Lina Sastri, di Gassmann cha cenava nel tuo stesso ristorante. Papà quantitativamente non ci ha regalato tutti i giorni, ma quando veniva era sempre una festa: ho il ricordo di un’infanzia felice, anche se non fu facile accettare l’idea che mio padre fosse invecchiato e non lavorava più. Ero arrabbiato ma fortunatamente, grazie all’analisi, l’ho capito prima che se ne andasse».

Massimiliano Gallo: “Razzismo da combattere con la cultura”

[…] Perché andò in analisi?
«Ero incasinato, andavo sempre a mille all’ora e non riuscivo a decodificare delle cose. Dopo la separazione dalla mia ex moglie ci andai e capii che ero arrabbiato con mio padre perché non accettavo che da vecchio fosse su una poltrona a guardare la tv anziché starci dentro. Giustamente lui non aveva nessuna colpa, aveva 80 anni, ma avevo questa proiezione del mito».

Essere figlio d’arte spesso vuol dire avere la strada spianata e dover lavorare il doppio per non deludere le aspettative. È valso anche per lei?
«Se hai un cognome importante è naturale che la porta sia già aperta, bisogna vedere, però, se riesci a non farla chiudere, se riesci a sfruttare le agevolazioni che hai. Sono nato in una famiglia d’arte e le assicuro che sono cresciuto con una disciplina militaresca, ferrea. Pensi che non mi sono assentato a teatro nemmeno una volta, sono andato in scena con 40 di febbre e pure quando è morto mio padre».

Non deve essere stato facile.
«Ero impegnato in uno spettacolo con Salemme, una volta tornato dal funerale mi esibii. Mi dissero che avrei potuto saltare, ma per me non esisteva la possibilità di assentarmi, non era contemplata. Sorrido pensando ai ragazzi di oggi che alla prima tosse dicono di non venire: da figlio d’arte sei agevolato, hai un bonus da giocarti, ma è ovvio che la gente si aspetta certe cose da te. Ripenso all’edizione di Sanremo condotta dai “figli di”: sarebbero stati di sicuro meno cattivi se fossero stati cinque sconosciuti».

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