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Spettacolo

Renato Pozzetto: “Ho perso mia moglie, mio fratello… Spesso mi faccio delle domande e le giro a chi ci capisce più di me”.

Renato Pozzetto in un’intervista a 7 de Il Corriere della Sera

Renato Pozzetto ha rilasciato un’intervista a 7 del Il Corriere della sera in cui racconta della sua vita, della moglie e del fratello e della carriera. Una carriera che gli ha portato fortuna e popolarità. “L’altro giorno stavo parlando al telefono per strada. Incrocio una signora e mi sento gridare alle spalle. ‘ma lei ha la stessa voce di Pozzetto!’ Poi mi guarda meglio. ‘ma no, lei è Pozzetto! La voce, la voce!..’”.

Pozzetto a 79 anni è un fiume in piena e racconta degli anni a Gemonio in cui torna sempre volentieri, tanto da aver aperto una locanda. “Era una cascina andata all’asta, con mio fratello ce ne siamo innamorati, adesso ho preso uno chef bravo, mi piacerebbe portarci i turisti e non solo i milanesi con la casa del weekend…. Io resto qua sul Lago Maggiore. Sono le mie zone dal ‘42. Avevano bombardato la nostra casa al Parco Solari di Milano e scappammo a Gemonio da una vecchia parente di mia mamma”.

“Eravamo poveri. Mio papà lavorava a Milano, noi stavamo qui. Poi coi primi soldi abbiamo preso una casa per i miei genitori. E alla fine, con mio fratello, questa villa con l’ingresso sul lago. Si chiama Ca’ Bianca, era tutta abbandonata. A Milano abito al Parco delle Basiliche, a Roma ho una casa in via Colosseo. Ma tra un film e l’altro, io sono sempre tornato sul lago”.

L’attore racconta di non aver mai sentito l’esigenza di andare all’estero e portare fuori la sua comicità. “Mica ero un provinciale deficiente. Io avevo 18 anni e già frequentavo gente che ha portato l’arte in tutto il mondo. Ero povero, ma vivevo! C’era Gaber che c’insegnava a suonare la chitarra, più a Cochi che a me, perché io ero un cane. Eravamo una fornace d’umorismo e d’allegria. C’inventavamo l’Ufficio Facce dove noi, i commissari, esaminavamo le facce, amici o personalità pubbliche, e decidevamo chi bocciare. Insomma, io ero impegnato – scusi il parolone – culturalmente. Non avevo il problema d’espatriare”.

Oggi ammette che va di moda un’altra comicità, come quella di Checco Zalone. “Io sono d’un altro mondo. Vengo dalla guerra, dalle osterie, un’altra roba. Onestamente, m’inchino ai numeri che fa. Ora deve amministrare quel successo. Non è facile. Nel nostro mestiere è tutto in mano al colpo di culo. Non c’è quel cinema che richiede un minimo di cultura, con tutto il rispetto. Dipende dal culo… Il mio sogno era di portare nel cinema il linguaggio poetico del cabaret milanese. Non ci sono riuscito. I registi c’erano: Nanni Loy, Lattuada, Risi… E mi piaceva perché avevano rispetto di me. Quando feci Io sono fotogenico, la scena dei provini con le facce sempre uguali fu un’idea mia: Dino Risi non la voleva, poi gli è piaciuta”.

Parlando di religiosità, l’attore racconta. “Sono italiano, è ovvio. E quando Celentano cantava Azzurro andavo all’oratorio, come tutti. Ora non vado più all’oratorio. Ma ho i miei cazzi: l’età, la salute, ho perso mia moglie, mio fratello… Spesso, mi faccio delle domande. E le giro a chi ci capisce più di me”.

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