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Televisione

Renzo Arbore racconta Boncompagni: “Così rivoluzionando la tv. E quando ci cacciaroni dalla Rai…”

Renzo Arbore racconta Boncompagni ai microfoni de ‘Il Giornale’. Un’anticipazione della puntata di No non è la BBC in onda stasera su Raidue

Renzo Arbore racconta Boncompagni in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Giornale’. Il conduttore anticipa l’ argomento centrale della puntata di No non è la BBC in onda stasera su Raidue, che sarà incentrata su Gianni Boncompagni, morto due anni fa e con il quale Arbore era legato da una grande amicizia nata negli anni sessanta.

Come sarà costruito l’omaggio al suo amico e collega di una vita?
«Come l’avrebbe voluto lui. Allegro, disimpegnato, informale, improvvisato. Non commemorativo. Con molti di coloro che hanno lavorato con lui e gli hanno voluto bene: Raffaella Carrà, Ambra Angiolini, Claudia Gerini, Sabrina Impacciatore, Giancarlo Magalli, Fabio Fazio, Piero Chiambretti».

Che cosa vi unì e vi spinse a rivoluzionare stile e contenuti della Rai?
«Ci conoscemmo a un esame per programmatori radiofonici. A me dell’esame non me ne frega niente, bisbigliò lui, scettico come sempre, lo faccio solo perché se lo supero mi danno i dischi gratis. Gianni era così: mai convenzionale né allineato, odiava la banalità, inorridiva per le frasi fatte. Io venivo dagli studenti super-impegnati di Speciale per voi; lui da Chiamate Roma 3131, primo programma del dolore. Insieme capimmo che era venuto il momento di tornare a una tv totalmente disimpegnata».

Ed esplodeste in radio con Bandiera Gialla, che aprì a una categoria fino ad allora ignorata: i giovani.
«Una volta Gianni mi chiese: ti piacciono i Beatles e i Rolling Stones?. Certo, replicai, mica ho la puzza sotto al naso. E così, ispirandoci alla beat generation di Kerouac e Ginsberg, lanciammo il termine beat, che identificava i ragazzi stufi della musica yè-yè alla Rita Pavone e assetati delle novità che arrivavano dalla swinging London di quegli anni. Beat ebbe un successo immenso, arrivò fino in Francia».

Ci fu poi l’epopea di Alto gradimento: i ragazzi tornavano di corsa da scuola per ascoltarlo alla radio…
«Allora sociologi e intellettuali disquisirono sul senso di un successo giovanile totalmente inedito. Ma per noi si trattava soprattutto di cazzeggio. Personaggi che hanno fatto epoca, da Scarpantibus al professor Aristogitone, dalla Sgarambona al colonnello Buttiglione, sono nati in realtà tutti al bar».

Tuttavia tanto disimpegno anarchico procurò a Boncompagni anche molte critiche: le adolescenti di Non è la Rai, fra cui l’Ambra teleguidata con l’auricolare, precorsero il «vuoto» televisivo che oggi ci affligge.
«In anni in cui non c’era il computer Gianni s’inventò questa cosa dell’auricolare. Si divertiva a suggerirle cose sbagliate. Anche qui ciò che contava per Gianni era la freschezza. Meglio una battuta mediocre ma spontanea che una importante perché impostata. Poi, certo, a lui tutta quella giovinezza piaceva pure…».

Mai momenti difficili nella vostra lunga amicizia?
«Professionalmente uno solo, quando ci cacciarono dalla Rai. Nel ’71, inviati per Canzonissima, scherzammo su Scarpantibus tirando fuori dalla sua gabbia decine di rotoli di carta igienica. Questi due funzionano solo alla radio, sentenziarono a viale Mazzini. E non abbiamo più lavorato per cinque anni».

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