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Spettacolo

Renzo Arbore: “I giovani li abbiamo inventati io e Boncompagni. Su Greta Thumberg e le Sardine…”

Renzo Arbore sui giovani e non solo, l’artista dice la sua sulle nuove generazioni in una intervista ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’

Renzo Arbore: “I giovani li abbiamo inventati io e Boncompagni. Su Greta Thumberg e le Sardine…”. L’artista dice la sua sulle nuove generazioni in una intervista rilasciata ai microfoni del collega Pasquale Elia per ‘Il Corriere della Sera’.

Prova a fare un racconto dei ragazzi di oggi affacciato al balcone di ieri mettendo in pausa la sua proverbiale ironia.
«Sembra un’assurdità, ma in quegli anni Gianni Boncompagni e io inventammo i giovani».

Scusi, ma in che senso? Perché prima i giovani non esistevano?
«Adesso può apparire un’iperbole, ma in realtà a quell’epoca c’erano soltanto i ragazzi. Che poi improvvisamente mettevano i pantaloni lunghi e diventavano adulti. Anche il termine vecchio mancava dal vocabolario: al suo posto c’era il termine matusa. E in questo clima i giovani si trasformarono subito in oggetto di polemica. Ricordo una frecciatina che lanciò contro di loro il grande Alberto Sordi: “Questi hanno una sola possibilità, di crescere”. Oggi quella freddura la ripenso con tenerezza e simpatia, ma per noi fu mortificante. Una frase che non direi mai, nemmeno alla mia attuale età».

Convinto?
«Convintissimo. Il nostro motto era “largo ai giovani” e per me lo è ancora adesso. Mi votai alla loro causa e sapevo che bisognava aiutarli, coccolarli. Ma allo stesso tempo sapevo che era necessario insegnare loro la bellezza dell’arte, in tutte le sue forme: musica, cinema, pittura, design… Insomma, cercavo di mescolare le loro esigenze con gli insegnamenti del passato».

Può fare un esempio?
«Quando di recente con Nino Frassica e Andrea Delogu su Rai1 abbiamo celebrato la trasmissione Indietro tutta!, in studio c’erano esclusivamente Millennials che non sapevano nemmeno cosa fosse quel programma. Eppure si sono divertiti con sketch che risalivano a trenta anni fa».

Quindi questo cosa vuol dire?
«Che i giovani di oggi sono tornati a ridere con intelligenza».

Non le sembra un pochino presuntuoso da parte sua?
«Beh, diciamo la verità: per quanto riguarda l’umorismo, fino a poco fa gli adolescenti si accontentavano di poco. Bastavano delle smorfie o delle semplici imitazioni per farli sorridere. Noi siamo stati più esigenti. Finalmente le cose stanno cambiando: la risata è una potente spia dello stato di salute dei ragazzi».

E come è quello di questa generazione?
«In ripresa. Sono molto incuriosito e confortato dalla recente nascita di alcuni movimenti spontanei, tipo quello di Greta Thumberg o quello delle Sardine. Significa che ci sono giovani che hanno saputo sottrarsi alle suggestioni di certa tv becera. Attrezzati culturalmente, hanno deciso di evolvere, di andare avanti, di lasciarsi alle spalle il periodo dei cosiddetti “sdraiati”, quelli che erano in poltrona con il telecomando in mano e che, facendo zapping, si fermavano a vedere una stupidaggine dietro l’altra. Oggi c’è una stagione nella quale i figli degli sdraiati hanno riscoperto la piazza, la voglia di stare insieme, l’amicizia, la fratellanza. E hanno anche preso coscienza che gli adulti devono essere controllati, così come aveva fatto la beat generation».

Renzo Arbore Su Greta Thumberg e le Sardine

Intravede qualche rischio per queste nuove forme di protesta?
«Che vengano contaminate dalla solita politica verbosa e rissaiola, che oltretutto ha indispettito i ragazzi che hanno visto gli esponenti di partito accanirsi gli uni contro gli altri con un linguaggio davvero di basso livello».

Dunque, il pericolo è quello di una eventuale politicizzazione dei movimenti?
«Esatto. Come successe ai miei tempi del ’68, di cui sono sempre stato molto critico. D’altronde, da jazzista filoamericano, era pressoché impossibile che abbracciassi quelle idee. Avevo come idoli Kennedy e Martin Luther King e non sono stato mai sedotto da quel fenomeno. Un ombrello sotto il quale trovarono posto i contestatori che rivendicavano la loro diversità, il diritto ad avere gusti diversi. Tutto giusto e condivisibile: poi purtroppo sono andati oltre e si è arrivati agli anni del terrorismo».

Sesso, droga e rock’n’roll erano i perni attorno ai quali ruotava gran parte della controcultura del ’68: oggi le priorità sembrano altre.
«Già, gli imperativi sono cambiati: ci si batte per un mondo più pulito, più sano, per l’ambiente. I ragazzi, come direbbe un napoletano, si sono scietati, svegliati. Una volta si viaggiava solo per andare al festival di musica di Woodstock. Oggi si va in giro per il mondo per altre esigenze, per conoscersi, per unirsi ad altre realtà».

Tiriamo le somme: crede che la sua generazione abbia sbagliato qualcosa?
«Francamente non credo. Noi eravamo stati educati da una buona stagione del dopoguerra, un periodo di pacificazione nazionale importante, di padri che costruivano, che avevano scacciato l’odio del passato. Eravamo figli di una generazione benedetta, che aveva completato l’Autostrada del Sole in appena due anni. L’unica nostra caduta è stata quella durante gli anni di piombo. Sia ben chiaro: gli errori sono stati fatti tanto a sinistra quanto a destra».

E gli sbagli dei giovani?
«Si sono impigriti, hanno seguito le orme dei paninari. Hanno continuato stancamente ad occuparsi della moda, dell’ultimo paio di jeans, degli stivali. Hanno avuto una vita facile, aiutati dai loro genitori permissivi, probabilmente stanchi di quella protesta giovanile di cui erano stati protagonisti».

Cosa augura ai ragazzi per il 2020?
«Che riescano a sfruttare il web come un serbatoio infinito di cultura e conoscenza. Fino ad ora la Rete è servita per sbirciare dal buco della serratura le vite degli altri».

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