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Spettacolo

Micaela Ramazzotti si racconta: “Da piccola ero timida. Potevo morire nell’attentato a Londra”

Micaela Ramazzotti si racconta, l’attrice parla della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata a ‘Io Donna’

Micaela Ramazzotti si racconta: “Da piccola ero timida. Potevo morire nell’attentato a Londra”. L’attrice parla della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata ai microfoni di ‘Io Donna’.

La Micaela ventenne, invece, che sguardo aveva?
“Inesperto, però grintoso e curioso. Allora come oggi, penso che gli anni più belli sono quelli che verranno, perché più cresci, più hai conoscenza e cultura della vita e più cerchi di migliorare. Io ero piccina, ma volevo affermarmi, ero furba, intuitiva come un animale selvatico”.

A 13 anni, faceva già fotoromanzi, a 20 era Zora la vampira, accanto a Carlo Verdone.
“Lui era il mio mito. Finalmente, nel quartiere, smisero di prendermi in giro. Non ero fra le più gettonate, ero timida, magrolina, tutta denti. E non mi vestivo bene, secondo me. Avevo pochi soldi, gli altri mi sembravano tutti più cool e non capivo che la nostra essenza viene non dal denaro, ma dalla personalità. Mi sentivo in cerca di un riscatto”.

Il quartiere è l’Axa, a Roma. Com’era?
“Sta fra Palocco e Infernetto, nessuno lo conosce. Erano villette vicino al mare e nient’altro, il cinema era lontano, il teatro lontano. Era come stare in un’altra regione. Andavo al Liceo Artistico in centro e marinavo per sentirmi parte della mia vera città: Roma. Sono stata bocciata due volte, perché me ne andavo al Colosseo, ai musei, pensando che dalla periferia o vai via subito o non te ne vai più”.

Qual era il suo motore?
“La voglia d’indipendenza. Venendo da una famiglia semplice, papà vigile urbano, mamma impiegata, volevo magari comprare cose. Cercavo una strada, non sapevo quale. Mandai una foto al giornalino Cioè. Fare i fotoromanzi non mi piacque, ma era l’unico modo che avevo trovato”.

Che cosa non le piaceva?
“Mettermi in posa non fa per me: io amo il movimento, la tridimensionalità. Soffro, se non mi posso esprimere. Dai red carpet, scapperei. Infatti, dopo che mi sistemano, devo scompigliare i capelli, scombinarmi e poi andare. Farei carte false per avere una gemella da mandare al mio posto. Però, facendo foto, scoprii che mi piaceva essere un’altra e poi un’altra ancora. E mi misi a cercare il cinema”.

Dopo Pupi Avati, i Vanzina e i Manetti Bros, la svolta non arriva e a 25 anni si ritrova cameriera a Londra. Che fase è stata?
“Dovevo pagare l’affitto, pensai di imparare anche l’inglese, ma a differenza di Gemma, che pure in Gli anni più belli fa la cameriera, non avevo dismesso la speranza. Dovevo esprimermi, se no la mia vita sarebbe stata una recita continua. Mi chiamarono per il provino di Non prendere impegni stasera, lasciai le mie cose a Londra, ma non ci tornai”.

Carlo Virzì la vide in quel film e la propose a suo fratello come protagonista di Tutta la vita davanti.
“Furono le mie sliding doors. Pensi che, appena lasciai Londra, vi fu l’attentato nella metropolitana e la mia coinquilina era lì. Si salvò per miracolo. Potevo esserci anch’io. La sfiga non ha regole precise, diceva Andrea Pazienza. Invece, io dovevo incontrare Paolo, il mio grande amore, mio marito più che un regista”.

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