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Salute

Ascierto: “Tocilizumab importante per due motivi. Emergenza? Sottovalutata la situazione”

Il dottor Paolo Antonio Ascierto parla del tocilizumab, medicinale efficace per i malati di coronavirus, in una intervista alla rivista Vanity Fair

Ascierto: “Tocilizumab importante per due motivi. Emergenza? Sottovalutata la situazione”. Uno dei massimi esperti di oncologia, in forze agli ospedali dell’azienda Colli di Napoli, parla della sperimentazione sui malati di coronavirus, di cui lui è stato uno dei fautori, e non solo, in una intervista rilasciata ai microfoni della rivista Vanity Fair. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Come è nata l’idea tocilizumab
«Tenga presente che io sono un oncologo e mi occupo di immunoterapia. Lei mi chiederà che c’entra. E invece c’entra. Perché nei casi in cui ci sono effetti collaterali dovuti all’iper-attivazione del sistema immunitario, utilizziamo il Tocilizumab. E la stessa cosa succede con l’infezione che si diffonde nei polmoni per il COVID-19. È così che è nata la nostra idea: non vogliamo agire direttamente sul virus, ma su una delle gravi complicanze riscontrata nei pazienti e causata dalla tempesta di citochine. Le citochine sono le proteine rilasciate dall’organismo per segnalare alle cellule immunitarie di viaggiare verso il sito dell’infezione per intervenire».

«La sperimentazione del Tocilizumab è molto importante perché, attraverso dei criteri vigorosi, ci permetterà di capire se il farmaco funziona e se ci sono dei pazienti su cui funziona meglio rispetto ad altri. Ma a parte la sperimentazione l’uso del farmaco continua. L’azienda che lo produce l’ha messo a disposizione gratuitamente. Fino a ieri (16 marzo, ndr), avevano autorizzato un migliaio di trattamenti».

A che conclusioni siete giunti fino ad ora?
«I dati che abbiamo raccolto e le informazioni che ci arrivano da altri centri con cui siamo in contatto ci dicono che questo farmaco ha dato effettivamente dei risultati incoraggianti. Sembra che sui pazienti di subintensiva agisca meglio. Ovviamente, però, queste sono solo impressioni, e solo alla fine della sperimentazione avremo più certezze».

Cosa servirà dopo?
«Potenziare la ricerca scientifica. Perché è dalla ricerca che nascono le idee e le risorse che possono servire in situazioni come questa. Io credo che andrà riconsiderata la possibilità di investire di più, una volta che tutto questo sarà finito. E di farlo a tutti i livelli, in tutti i campi. Perché quello nella ricerca è il migliore investimento che possiamo fare per i nostri figli».

Si poteva fare qualcosa di più per anticipare questa situazione?
«Abbiamo sottovalutato quello che stava succedendo in Cina. I cinesi avevano chiuso una regione di cinquanta milioni di abitanti. E questo, in qualche modo, ci avrebbe dovuto far capire che il problema era serio. Se avessimo reagito a questa situazione con più precauzioni e più velocemente, l’entità dell’emergenza sarebbe stata minore. Ma è chiaro che con il senno di poi è facile parlare».

Lei e i suoi collaboratori come state affrontando quest’emergenza?
«Non avremmo mai immaginato di doverci occupare del COVID-19. Siamo oncologi, ci occupiamo di tumori. E la nostra attività va avanti: continuiamo a lavorare per i nostri pazienti. Stiamo affrontando anche un altro fronte, ma siamo una squadra. E qui vige un detto: uno più uno uguale tre».

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