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Spettacolo

Massimo Ghini: “Razzismo? Non serve inginocchiarsi per strada, vi spiego perché”

Massimo Ghini sul razzismo e non solo, l’intervista a ‘Il Messaggero’

Massimo Ghini: “Razzismo? Non serve inginocchiarsi per strada, vi spiego perché”. L’attore tocca un tema delicato bel corso di una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Messaggero’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

«Sono pronto ad assumermene tutta la responsabilità dal momento in cui i social lanciano un tema, questo mondo ignorante, senza un progetto, ne diventa vittima». 

Cosa vuol dire?
«Quando c’è stato l’omicidio, in America, ho condiviso l’indignazione, l’orrore per un fatto del genere. Ma non si diventa meno razzisti se ci si inchina per strada o se si alza il pugno; bisogna costruire una società – e io che abito all’Esquilino lo sento molto – in cui questo modo di sentire sia radicato».

A lei capita di spesso di essere controcorrente?
«Una volta innescai una polemica sbagliatissima (io faccio sempre le polemiche sbagliate) sulla questione delle parole nero e negro. Non si diventa razzisti o si è contro il razzismo semplicemente perché si dice nero al posto di negro; bisogna tenere presenti la Storia, la letteratura, che ci portavano a usare un tema che allora non veniva ritenuto offensivo. Se oggi rivedessimo Via col vento, ci stupiremmo nel vedere il personaggio di Mami, doppiata come la caricatura di una persona di colore. All’epoca, c’era un mondo colonialista, un certo tipo di razzismo, che va condannato ma anche spiegato». 

E cosa pensa del politicamente corretto di oggi?
«Vorrei che il politically correct fosse una scuola di pensiero che possiamo portarci dentro; ma questo senza diventare talebani. Non c’è niente di peggio nella vita, credo […]»

[…] Cosa ne pensa di quelli che vogliono demolire le statue di personaggi del passato, da Jefferson a Churchill?
«Allora dobbiamo buttare giù anche l’obelisco di Mussolini, e l’elenco di monumenti da abbattere sarebbe enorme; ma certi valori etici e morali, messi oggi in dubbio da quei simboli storici, a quei tempi nemmeno esistevano. Se bisogna fare il processo alla Storia, io dico: prima cerchiamo di conoscerla».

[…] E il caso Montanelli?
«Se vogliamo raccontare un passato in cui tutto era politicamente scorretto, non possiamo continuare a giudicarlo con i criteri del presente. Noi abbiamo il dovere di raccontare, anche quello di giudicare; ma non è giusto ridurre Indro Montanelli alla vicenda dalla dodicenne comprata in Etiopia. Perché non parla nessuno di quello che avviene alle donne arabe oggi».

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