Laura Morante in psicoanalisi e non solo, l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’
Laura Morante: “Entro ed esco dalla psicoanalisi. Un regista che mi ha reso la vita difficile, vi racconto tutto”. L’attrice ripercorre le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
«Sei una principiante! Talentuosa, ma una principiante», le ripeteva Carmelo Bene e Laura Morante se lo ricorda ancora ridendo.
«Lui si divertiva a provocare, a torturare come fanno i bambini che torturano le lucertole. Ma io non gli ho mai dato soddisfazione, anche se la mia indifferenza alle sue vessazioni non lo convinceva e, quando era in buone, mi chiamava “pacioccona”. In fondo aveva ragione: io facevo finta, ma non ero per niente indifferente, mi ha reso la vita difficile. Ero giovanissima, per seguirlo ho buttato all’aria una carriera da danzatrice. Però è stata la scelta giusta».
[…] Lei è stata spesso disubbidiente?
«Come no? A cominciare proprio da Carmelo. Promossi contro di lui una vertenza sindacale. Eravamo in tournée e a noi, poveri giovani teatranti, ci sospese la diaria dicendo: “È un onore lavorare con me”, sì, però dovevamo pur campare! A causa della nostra vertenza, gli venne sospeso per un anno il finanziamento pubblico. Per noi una vittoria».
Accipicchia che coraggio, eppure lei si è sempre definita una timida.
«E lo sono, ma questo mestiere mi ha aiutato a superare la timidezza anche se continuo a entrare e uscire dalla psicoanalisi. Il primo analista dove andai, mentre parlavo si addormentava».
Laura Morante in psicoanalisi: l’intervista
Quando recitò nuda nel «Sade» di Bene, i suoi genitori come reagirono?
«Mia madre non venne a vedermi. Mio padre era fiero perché ammirava Carmelo: avrei potuto anche recitare a testa in giù, sarebbe stato felice lo stesso. Non mi sono mai vergognata, pure se la nudità è in contraddizione con la timidezza, perché venivo dal mondo della danza, dove la nudità non crea alcun imbarazzo: i ballerini sono come atleti, il corpo è solo uno strumento, non riscuote apprezzamenti che ammiccano ad altro».
Già madre di due figlie, è stata coraggiosa la scelta di adottare un terzo figlio?
«No coraggiosa, gratificante. È stata lunghissima la trafila, ma ce l’abbiamo fatta. Il mio Stephan è arrivato da noi che faceva l’asilo e, all’inizio, non voleva lasciarsi toccare, poi è stato meraviglioso abbracciarlo. Ormai ha 14 anni, e come tutti gli adolescenti un contestatore! La cosa più incredibile, è che assomiglia tanto alla mia primogenita Eugenia, che strano».
Se non avesse fatto l’attrice, quale mestiere avrebbe fatto?
«Mi piace scrivere e rimpiango di non aver osato. Sbagliamo a non osare e mi pento di non averlo fatto quando, da ragazza, volevo fare il liceo classico, ma dovevo prima sostenere l’esame di latino e un giorno mia madre mi sottopose a un test, chiedendomi di declinare un verbo. Ero emozionata, mi impappinai e lei si meravigliò esclamando: “Ma come, non sai declinarlo?”. Provai una profonda frustrazione e non andai più a sostenere la prova. Niente liceo classico, dirottai sulla scuola magistrale. Non mi perdono di non aver osato».
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