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Giovanna Botteri: “Coronavirus diverso dalle guerre per un aspetto. Capelli? Non vado dal parrucchiere da mesi”

Giovanna Botteri sul coronavirus e non solo, l’intervista a ‘Il Giornale’

Giovanna Botteri: “Coronavirus diverso dalle guerre per un aspetto. Capelli? Non vado dal parrucchiere da mesi”. La giornalista e nota inviata parla della sua esperienza a Pechino e delle polemiche sui capelli in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Giornale’.

Di guerre ne hai raccontate tante, dai Balcani all’ Irak, dall’ Afghanistan al Kosovo, ma quella del Covid è stata diversa, subdola, incomprensibile.
«Vero. La differenza con i tanti altri conflitti che ho visto è che lì sapevi chi era il tuo nemico. Qui no. Può essere il tuo vicino, l’amico del cuore, un parente. Quando fai l’inviata, sai come comportarti, ti premunisci, cerchi di evitare pericoli, di metterti in salvo, con il virus non lo puoi fare, non ti puoi nascondere, non puoi scappare».

[…] Hai avuto paura, momenti in cui hai pensato di non farcela più?
«La paura della morte la porto sempre addosso: quando la respiri nei posti di guerra non te ne puoi più liberare. Ma bisogna tenersela per sé, non ti puoi permettere di trasmetterla agli altri, altrimenti quelli che ti guardano cosa possono pensare? Andavo in panico all’inizio, magari avevo qualche linea di febbre e pensavo al peggio, soprattutto di finire in quei lebbrosari dove sono morte chissà quante persone. E non lo sapremo mai…»

Non era certamente facile ottenere informazioni in un paese già poco «trasparente» come la Cina.
«A darci una mano ci sono i social, che fanno un grande lavoro di contro-informazione, a volte basta una foto o una frase per farci capire tante cose. Poi ovviamente si ascoltano le fonti ufficiali. Io leggo molto anche il South China Morning Post che si colloca in mezzo, né filo né antigovernativo, una fonte attendibile».

Giovanna Botteri: “Coronavirus diverso dalle guerre che ho raccontato”

Tanti mesi sola, senza la famiglia.
«In effetti la solitudine è stato l’ aspetto più difficoltoso. Mia figlia Sarah era chiusa in casa a Roma, anche lei sola: il senso di impotenza, il non poter fare qualcosa per lei mi affliggeva. Una solitudine che già sentivo quando sono arrivata in Cina, ma che è dilagata con il lockdown: non parlo il mandarino e dunque è difficile entrare in contatto con la gente. Sono stata 13 anni a New York e lì mi sentivo a casa. Ho anche girato tutto il mondo come inviata, ma qui è tutto diverso…».

[…] Si è parlato tanto di te negli ultimi mesi per il servizio di Striscia la notizia che ti prendeva bonariamente in giro per il look. Si è tirato in ballo il body-shaming, sono scoppiate polemiche… Tu, alla fine, hai sdrammatizzato.
«Mah… sì, penso che sia stata anche un’occasione per parlare di temi importanti come l’immagine della donna e la pressione della società sull’aspetto fisico, discorsi che possono far bene alle giovani generazioni. E, poi, forse, non è stato casuale che l’argomento sia nato proprio in periodo di Covid quando non si poteva andare dal parrucchiere: la gente a casa ha avuto bisogno di vedere in tv persone normali e non modelli patinati irreali».

Ma tu ci vai o no dal parrucchiere?
«Ma avete visto che capelli lunghi ho? Ci andrò in Italia, li taglierò 30 centimetri. I miei capelli sono anarchici: per questo da ragazza li tenevo sempre corti. Cerco di sistemarli come riesco. Non c’ è nulla di male, ovviamente, a tenere in ordine il proprio aspetto. E vogliamo parlare delle magliette, pure tanto criticate? Mi dicono che metto sempre la stessa, nera: ma io, per praticità, ne ho 40, tutte simili: vanno bene per sistemare il microfono e per come mi stanno addosso».

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