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Anna Galiena: “Tinto Brass? Aveva un’ossessione, rifiutai certe inquadrature. In Italia clan nel Cinema”

Anna Galiena su Tinto Brass e non solo, l’intervista a ‘La Verità’

Anna Galiena: “Tinto Brass? Aveva un’ossessione, rifiutai certe inquadrature. In Italia clan nel Cinema”. L’attrice si racconta ripercorrendo alcune tappe della sua carriera in ina intervista rilasciata a ‘La Verità’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

A New York è rimasta fino al 1984

«Quando sono tornata a Roma, dove ho avuto un secondo shock culturale».

Il primo qual era stato?
«Arrivata in America avevo scoperto che non c’era il dibattito. Non si parlava, si faceva. Ero abituata ai grandi discorsoni per rifare il mondo. Invece lì non c’era passato, non c’era cultura, c’erano individualismo e tante persone sole nei caffè».

Però si faceva.
«E si faceva veramente senza metterti ostacoli. Non mi hanno mai chiesto da dove venivo o chi mi spingeva. C’era una pubblicazione con l’agenda settimanale dei provini. La consultavi, ti presentavi, salivi sul palco e se andavi bene ti prendevano. La competizione era sfrenata. Tornata a Roma ho trovato un ambiente fatto di clan, in cui tutti parlavano e si lamentavano».

Di cosa?
«Del fatto che non si teneva conto del curriculum, per esempio. Manager e produttori mi dicevano di lasciar perdere le cose americane. Squadravano il fisico, chiedevano se ero fidanzata, mi invitavano a cena. Un paio di volte ero lì lì per usare le mani».

Motivo?
«Un produttore che non c’è più mi aveva convocato per discutere di una sceneggiatura. Come sono entrata, ha chiuso a chiave l’ufficio. “E no!”, l’ho riaperto E siccome di là c’era la segretaria si è calmato».

Basta dire di no?
«In una certa maniera».

Però era scossa?
«Mi dicevano: “Qui funziona così, devi appartenere a una scuderia, a un produttore, a un politico. Oppure devi avere una famiglia ricca che ti manda alle feste finché incontri qualcuno”. Io ero seguita da Fabio Ferzetti, un bravo agente, ma stavo già pensando di andarmene di nuovo. Invece accadde che, per un film per la tv, un’attrice svedese aveva dato forfait all’ultimo momento e siccome nel curriculum le misure corrispondevano, mi proposero di tentare. Si girava fuori Roma, presi il trenino e mi presentai alla prova costumi».

Anna Galiena: “Tinto Brass? Accettai nudo ma non certe inquadrature”

E il copione?
«Era semplice. Andai senza tante prove, unica istruzione di un cameraman: “Aò regazzì, mica stai a teatro, devi guarda ‘a machina”. Dopo quella volta presero a chiamarmi. Certi funzionari che avevano le loro protette s’ interrogavano: “Ma questa chi c’ha dietro?”».

Funzionava così La seconda molestia?
«Di un altro produttore, anche lui non c’è più. L’avevo incontrato a New York a un piccolo festival… Mi convoca e come entro si alza e, diciamo, mi abbraccia. Sono scappata urlando».

Ha avuto una carriera più lenta?
«Le scorciatoie non m’ interessavano. Se valgo qualcosa voglio che sia riconosciuto. C’è chi la coscienza non ce l’ha. Per educazione e scelte personali, io ce l’ho in abbondanza».

Come giudica le denunce dilazionate?
«L’abuso di potere esiste in tanti campi, non solo nel cinema o nel teatro. Le denunce ben vengano anche postume. Parlarne subito non è facile, si può essere ancora turbate, ci si vergogna».

Anche se nel frattempo si sono girati un po’ di film con quel produttore?
«Il do ut des smonta la denuncia».

[…] Come andò sul set di Senso ’45 di Tinto Brass?
«All’inizio la sceneggiatura era bellissima, ambientata nella Venezia di fine guerra. Avevo letto la novella di Camillo Boito e ricordavo il film di Luchino Visconti, molto romantico. Brass mi conquistò facendomi vedere le sue prime opere, Il disco volante, La vacanza con Vanessa Redgrave, dove nessuno si spogliava.

Poco alla volta, la sua ossessione per l’erotismo prese il sopravvento. Accettai il nudo, non le inquadrature ginecologiche. Usò delle comparse per la corsa in spiaggia girata a Ostia anziché al Lido. Anche la scena dell’orgia fu modificata al montaggio, fino a sconfinare nella pornografia».

Anna Galiena: “Tinto Brass? Rappirto incrinato dopo che rifiutai certe inquadrature”

Il rapporto si incrinò?
«Purtroppo sì. Non feci nessuna pubblicità, partecipai appena alla conferenza stampa. I critici dissero che sarebbe stato un bel film senza quei dieci minuti di eccessi».

[…] Quando si avvicinò al cinema?
«Alla New York university fondata da Martin Scorsese, dove finanziavano un cortometraggio di 20 minuti. Il regista mi aveva visto a teatro e mi propose di essere la protagonista».

[…] Nel mondo dello spettacolo gli stereotipi politicamente corretti tipo il premio neutro gender del Festival di Berlino stanno diventando esasperanti?
«È tutto uno slittamento della mentalità americana che ho visto 45 anni fa. E non solo per le battaglie femministe».

La guerra dei sessi è la strada migliore per la parità alle donne?
«In Italia e in Europa uomini e donne si sono sempre cercati, vivono insieme, si abbracciano – un po’ meno con il Covid. In America i sessi sono più separati, a volte antagonisti. Però, siccome non si può farne a meno, ci si unisce, ci si sposa. Ma è come se fossero compromessi temporanei. C’è solitudine, separatezza».

Concorda con Carlo Verdone che ha detto che il politicamente corretto frena la creatività perché ogni gag deve superare l’esame delle minoranze?
«In America negli anni Settanta le battute sugli ebrei o sui neri si dicevano sottovoce, ma spesso erano loro stessi i primi a riderne. Poi la faccenda è peggiorata e nell’84 son venuta via. Ora anche qui rischiamo di costruirci un’altra gabbia».

È questo il pericolo?
«Sì, ma noi resistiamo. Gli uomini di buona volontà continuano a lavorare, a scrivere, a rischiare. Come si dice a Napoli: “Scherzando Pulcinella dice o’ vero”».

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