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Cristina D’Avena: “Io oggetto del desiderio piaccio a uomini e donne. Sant’Antonio il mio amico speciale”

Cristina D’Avena oggetto del desiderio, l’intervista a ‘Vanity Fair’

Cristina D’Avena: “Io oggetto del desiderio piaccio a uomini e donne. Sant’Antonio il mio amico speciale”. La cantante si racconta senza peli sulla lingua dagli esordi al lockdown in una intervista rilasciata ai microfoni di ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

«Mi piace essere vista come un oggetto del desiderio. Nella vita mi è capitato un ruolo di bimba donna e di donna bambina: è un ossimoro strano, qualcosa che ti fa amare indistintamente da uomini e donne perché incarni la spensieratezza dell’infanzia e i chiaroscuri sensuali dell’età adulta. A me piace risvegliare il desiderio, ci gioco e mi appaga anche essere fonte di attrazione. Ma il punto è un altro: questa figura di donna bambina rassicura perché ti sembra di conoscerla da sempre, come fosse la tua migliore amica e insieme, forse, la tua amante. Il suo segreto è uno solo: la dolcezza».

Cos’ha imparato dal suo personaggio?
«Più che imparare dal mio personaggio, io ho vissuto nel mio personaggio come fosse una casa costruita per me. Lo so, ora mi chiederà se è stata una prigione. Me lo chiedono tutti».

Lo è stata?
«Per indole, non sono una ribelle e tendo ad assecondare il destino. Sognavo di fare il medico e mi sono ritrovata a cantare. È stata una prigione? Non lo so. Come non so se mi pesi il fatto di non aver avuto dei figli. O di essere sempre considerata la fidanzatina del mio pubblico. Vede, in fondo, io preferisco viverlo il destino, invece di cambiarlo».

Cristina D’Avena: “Io oggetto del desiderio mi piace accendere la fantasia”

[…] Hanno influito molto i suoi genitori sulla sua carriera?
«Non mi hanno mai ostacolata. Ma nemmeno spinta. Papà per me sognava la carriera di medico. Fino all’università, il canto era per me, per noi, solo un hobby. Che anni quelli del Coro dell’Antoniano! […]

Ecco, se c’è una persona che ha influito nella mia formazione è Mariele Ventre, donna eccezionale, pugno di ferro coi bambini: all’Antoniano nessuno doveva pensare di essere un divo, né i bambini né i loro genitori. Si cantava per divertirsi e la disciplina serviva a diventare più bravi. Ho passato tutta l’infanzia nel coro: i concerti, i viaggi in pullman, la tournée in Israele. Quella severità e quel senso del canto e del divertimento sono diventati parte di me».

Poi sono arrivati I Puffi…
«Eh, prima dei Puffi c’è stata in realtà la sigla di Bambino Pinocchio. Funzionava così: ero al liceo e ogni tanto mi chiamavano per registrare una sigla dei cartoni animati. Ero un ingrediente tra i tanti, una bella voce tra tante. Poi, verso la fine del liceo, mi chiamano per questo nuovo progetto, I Puffi. Ricordo mio padre che mi accompagnava agli studi di registrazione e poi mi aspettava controllando tutto. Quello che successe dopo fu una cosa pazzesca: tutti cantavano quella canzone, il cartone animato divenne un caso arrivando a vendere 500.000 copie del singolo.

Io ero travolta: non ho un carattere da vincente, oggi non potrei mai partecipare a un talent. Il punto di svolta avvenne all’università, quando per la terza volta stavo tentando l’esame di Chimica. Lo scritto andò così così e all’orale il professore mi fece capire che non l’avrei passato di nuovo. Io lo guardai con i miei occhi e lui, sorridendo, mi disse: “Me la canti la canzone dei Puffi?”. Finì che mi beccai un 19. Grazie ai Puffi».

Cristina D’Avena: “Io oggetto del desiderio. Puffi? Prima c’è stato Pinocchio”

Quindi niente Medicina, era nata una stella.
«Non ancora, in realtà. Tutto divenne chiaro e io lascia l’università a pochi esami dalla fine solo quando mi chiamarono per il telefilm Love Me Licia. La verità è che mandavano le repliche del cartone animato Kiss Me Licia da troppo tempo e i fan iniziavano a chiedere di più. Si facevano ascolti che oggi sarebbero impossibili. Così Alessandra Valeri Manera mi chiamò e mi disse: vogliamo girare un serial e tu sarai Licia. Ci rimasi di stucco.

Ma la cosa che più mi preoccupava, però, erano i capelli: me li dovevano tagliare e stirare tutti i giorni. Piansi, e si optò per una parrucca, che mi accompagnò per tutte le riprese facendomi prudere il capo. Non avevo nessuna base di teatro o di cinema, imparai tutto dai colleghi improvvisando in camerino prima di andare sul set. È stata una scuola eccezionale».

Cristina D’Avena: “Io oggetto del desiderio piaccio a uomini e donne”

E l’inizio del suo personaggio di fatina.
«Una fatina che vive di notte. Fin da piccola sono sempre stata poco mattiniera, ma con gli anni sono diventata proprio notturna. A volte vado a letto alle cinque, alle sei del mattino: mi piace quella sospensione del tempo che avviene di notte, quando nessuno ti chiama e tutto tace. Penso, scrivo, ripenso. È il mio territorio di libertà […] Sa di cosa c’è bisogno? Di tolleranza e di speranza».

Si spieghi meglio
«La tolleranza che si sta perdendo per via della faziosità dei social e di tanta politica contemporanea è fondamentale per capire tutto: gli altri, cosa non funziona, cosa funziona, come adattarsi. E la speranza è una sua conseguenza: la speranza è la virtù di chi riesce a vedere la luce in fondo al tunnel. È un esercizio di forza. Ricordo un mio concerto di qualche anno fa.

Pochi minuti prima di salire, chiamo per sapere come stava una mia zia malata a cui ero molto affezionata. Mi dicono che è appena spirata. Arrivo sul palco, scoppio in lacrime e non posso fare altro che raccontare al pubblico come stanno le cose. Poi mi sforzo di cantare e nella mia testa dedico ogni canzone a lei. È stato il momento più difficile della mia carriera. Un esercizio di forza e di speranza, appunto. Quella che serve oggi. Però ho un altro asso nella manica, un amico speciale: Sant’Antonio».

Mi scusi?
«Sì, Sant’Antonio. Guardi, un giorno scriverò un libro sul mio rapporto con lui. Mi aiuta, mi consiglia, è sempre al mio fianco ed è come se facesse piccoli miracoli per me. Ma questa è un’altra storia ed è troppo difficile da spiegare. Più facile parlare di Cristina nei panni di Dita Von Teese».

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