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Maradona, Sconcerti: “Nessuno come lui. C’è stata una differenza con Pelè”

Morte Maradona, Sconcerti ne parla nel suo editoriale per ‘Il Corriere della Sera’

Maradona, Sconcerti: “Nessuno come lui. C’è stata una differenza con Pelè”. Il giornalista dedica il suo editoriale per ‘Corriere della Sera’ a Diego Armando Maradona scomparso ieri, mercoledì 25 novembre, all’età di 60 anni.

“C’è stata una differenza tra Maradona e Pelé molto significativa: Pelé ha riconosciuto Maradona come avversario, gli ha concesso il diritto di essere sulla sua stessa strada per quel titolo alto e leggero di miglior giocatore al mondo. Maradona no, non voleva nemmeno parlarne, rifiutava l’ipotesi non solo per arroganza ma per diversità evidente.

Che c’entrava lui con Pelé, ragazzo educato, morigerato, mai uscito dal Brasile, poi ambasciatore del calcio nel mondo borghese delle sue istituzioni? Nemmeno Pelé lo amava, ma capiva che bisognava condividere, non si può vivere in paradiso e rifiutarsi. Credo che anche lui oggi non sia felice.

La morte dell’avversario è una prodezza che porta l’altro in un posto in classifica dove non può essere raggiunto. È la morte che realizza la Storia. Quella di Maradona è compiuta, ora tutto di lui ha diritto a un ricordo e a un aggettivo in più. Credo sia giusto così.

Anche se è un po’ infantile dirlo adesso, Maradona è davvero stato il miglior giocatore del mondo. Mi sono sempre rifiutato di considerarla una gara, troppo diversi i concorrenti, ma la morte degli altri è una spinta, tira fuori la realtà anche dentro di noi. Maradona ha costruito squadre, l’Argentina, il Napoli; Pelé le ha concluse.

Il suo Brasile era pieno di fuoriclasse, Djalma e Nilton Santos nel ’58, con Didi, Vava, Garrincha. Poi nel ’70 la squadra dei cinque fantasisti, Jairzinho, Gerson, Tostao, Rivelino e lui. Maradona ha dovuto scartare sei inglesi per segnare il gol più bello della storia, non gli bastava dirigere, doveva essere dovunque.

Ricordo la partita dell’82 nel vecchio stadio Sarriá a Barcellona. L’Argentina era campione del mondo, noi cominciavamo a nascere. Bearzot mise Gentile su Maradona, l’Italia vinse, Gentile seguì ogni passo del ragazzino di 21 anni e non lo fece segnare. Diventò l’eroe di tutti, ma Maradona giocò una partita splendida dentro una squadra finita.

Cambiò continuamente ruolo, da ala a centravanti, dentro e fuori dall’area. Era come in gabbia, la palla gli arrivava in ritardo, Gentile lo soffocava, ma lui non era mai banale, mai battuto. Gentile lo teneva con ogni mezzo, Maradona cambiò tre maglie in quella partita, due gliele aveva strappate Gentile.

Pochi giorni dopo partì per Barcellona, cominciavano la sua vita e i suoi peccati. Aveva un piede sinistro morbido come il pane che arrivava dovunque. La palla gli cadeva sul piede come l’avesse convinta parlandole. Aveva un senso del tempo nel dribbling che era davvero musicale.

Ha sempre sostenuto, anche da vecchio, che il suo gol più bello lo abbia segnato con l’Argentinos Junior in campionato. Sono andato a cercarlo su YouTube. Rincorre un pallone datogli da centrocampo e arriva in porta senza toccarlo più. Salta tre avversari solo muovendo il corpo, solo togliendo l’attimo agli avversari. Un gol irreale, da calcio che trascende. Questo era spesso il calcio di Maradona, un’entità metafisica.

Mi faceva venire in mente le luci mosse dei ceri che da soli accendono la chiesa nelle messe deserte e fredde della prima mattina. Quando tutto è silenzio e odore di bruciato buono. E una perfezione lenta ti scende dentro e tiene lontano il resto. Anche Maradona era perfetto e silenzioso.

Oggi il calcio fa rumore, il passaggio è sempre un colpo. Il suo era velluto, arrivava in porta o al compagno, inaspettato e servo, a disposizione degli altri, come tutta la vita di Diego. Non aveva una misura del tempo. Uno bravissimo, tra controllo e tiro impiega un secondo.

Il Messi giovane faceva tutto in sei decimi, per questo diventava imprendibile, tradiva il tempo degli altri. Maradona non aveva questo problema perché inventava traiettorie, si faceva l’obbligo di non fare mai due volte la stessa giocata. Non ha imparato niente, sapeva tutto.

Una volta a Napoli segnò una punizione da sette metri, con la barriera schierata. Non c’era traiettoria, non c’era lo spazio per permettere alla palla di abbassarsi. Dette un colpo morbido così pieno d’effetto che, arrivato in alto si piegò, su stesso e cadde in porta come fosse un arco gotico”.

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