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Spettacolo

Pippo Franco si racconta: “Io pittore e musicista, così sono diventato attore. Quel consiglio di Costanzo…”

Pippo Franco si racconta in una intervista a ‘TV Sorrisi e canzoni’

Pippo Franco si racconta: “Io pittore e musicista, così sono diventato attore. Quel consiglio di Costanzo…”. L’attore e conduttore ripercorre alcune tappe della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata a ‘TV Sorrisi e canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] «Io nasco come pittore e come musicista, poi è accaduto il resto. L’attore è stato il quinto mestiere, perché prima ancora avevo disegnato fumetti per tre anni e poi ho fatto il cantautore, scrivendo canzoni spiritose e inconsuete. L’attore è venuto come conseguenza: dovevo presentare queste canzoni e cercare di farle capire. Alla fine la presentazione ha avuto il sopravvento sulle canzoni stesse. Ma faceva tutto parte dello stesso modo di vedere la realtà: evidentemente sono nato per questo».

Nel 1960 il suo primo film: ha debuttato al cinema, in “Appuntamento a Ischia”, accompagnando con il suo gruppo Mina. Che inizio!
«Eravamo bravini. Stavo facendo l’esame di maturità lo stesso giorno in cui avevo il treno per Ischia, dove si girava. Insomma, dovevo decidere se continuare l’esame o vedermi sostituire nel film. Decisi di partire: dissi al professore che andavo a bere un caffè e sparii. Per fortuna recuperai l’esame a ottobre».

È vero che fu Maurizio Costanzo a consigliarle la carriera di cantautore satirico?
«Io suonavo nel locale in cui andò in scena il suo primo spettacolo. Mi prese per fare l’intervallo e la gente rideva a crepapelle».

[…] Le dispiace non aver ricevuto il giusto credito?
«Vede, il cabaret non va incontro alle esigenze del pubblico, ma risponde a due domande: “Chi sono?” e “Che cosa ho da dire?”. Per me quello che conta è il mio rapporto con me stesso. E poi gli artisti anticipano spesso i tempi».

Pippo Franco si racconta: “Io pittore e musicista, così sono diventato attore”

Lei, comunque, ebbe poi un grande successo in tv con “Dove sta Zazà?” nel 1973.
«Il successo ha andamenti altalenanti. Sono giochi del destino. La mia popolarità non l’ho voluta io, ho fatto semplicemente un tragitto. Ci sono alchimie misteriose: io per esempio ho una faccia che è la mia. Ed è talmente riconoscibile che non mi si confonde mai con nessun altro. Ma mi creda, avrei continuato anche da sconosciuto».

[…] Oltre 40 anni con “Il Bagaglino”. Che cosa ha rappresentato?
«La “summa” di tutto quello che avevo fatto. Castellacci e Pingitore hanno portato il cabaret in tv e abbiamo fatto programmi per 23 anni. Tutti gli altri, venuti dopo, sono esplosi anche grazie a questa porta aperta da noi».

Lionello, Gullotta, lei. Difficile la convivenza?
«I comici hanno una particolarità: non accettano che ci sia un altro comico nel raggio di 30 chilometri. Io feci capire loro che è meglio raccogliere 50 risate collettive che 10 con un comico solo. Niente rivalità, insomma».

Spesso i comici sono persone tristi.
«Io li definirei, naturalmente non in senso scientifico, “bipolari”. Lo dico perché il comico conosce la fame e conosce la morte, e vive questa sorta di “doppio” come una forma di creatività. Non puoi parlare di ironia se non conosci il dramma e se non lo hai praticato».

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