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Spettacolo

Zeudi Araya: “Film erotico? Mio padre comprò tutti i biglietti. Mio marito morto, lo vedo ancora ovunque”

Zeudi Araya sul film erotico “La ragazza dalla pelle di luna”: l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’

Zeudi Araya: “Film erotico? Mio padre comprò tutti i biglietti. Mio marito morto, lo vedo ancora ovunque”. L’ex attrice, oggi produttrice, è diventata famosa in Italia per il film erotico “La ragazza dalla pelle di luna”. Alla soglia dei 70 anni, anche se dice di averne 2 in meno, si racconta in una intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

«L’Italia era il mio sogno, per arrivarci ho mentito sulla mia età. Nel 1969, chiedendo il passaporto, dichiarai il falso. Avevo vinto il concorso di Miss Eritrea e il premio era un viaggio in Italia. Da minorenne, non mi avrebbero lasciata partire. Non fu difficile: ai tempi, l’anagrafe del mio Paese non era molto organizzata».

Perché, in quel 1969, ci teneva tanto a venire in Italia?
«Era il mio sogno. Decameré, dove sono nata e dove mio padre era governatore, aveva ancora tutte le architetture meravigliose del periodo coloniale. Unica fra i nove fratelli, ho preferito le scuole italiane. Insomma, al concorso da miss, mi iscrissi di nascosto: papà era severo, non avrebbe approvato. Ma io ero una sognatrice fin da piccola. Mi chiudevo nella mia stanza e sognavo a occhi aperti una vita diversa. Non saprei dire quale, ma la immaginavo bella».

Zeudi Araya: “Film erotico? Un successo in tutto il mondo”

[…] Dopodiché, arriva a Roma. Tre anni dopo, è protagonista della «Ragazza dalla pelle di luna», dove non ha neanche la minigonna.
«Un successo in tutto il mondo. Asmara aveva sale cinematografiche da mille posti, che si chiamavano Roma, Impero… Però la gente non aveva cultura cinematografica: vedevano Maciste e pensavano che fosse vero. Insomma, programmano il mio film e arrivano a vederlo anche i cammellieri dal deserto. Tutti dicono a mio padre “poverino” e “che figlia sciagurata”. Lui, pur di non far vedere il film a Decameré, comprò tutti i biglietti dell’unica sala della città. Era un’altra cultura: le mie sorelle maggiori avevano avuto matrimoni combinati».

Vi siete poi chiariti?
«Che devo dirle? Lui pensava solo che mi si vedeva nuda e che facevo l’amore. Ma di “erotico” non si vedeva nulla: era tutto buio e Luigi Scattini aveva un tocco poetico, quell’incontro fra un’indigena innocente delle Seychelles e un turista che ha problemi con la moglie sembrava quasi sognato».

Com’era arrivata al cinema?
«All’inizio m’interessava solo vivere a Roma, camminavo fra i monumenti totalmente rapita: era tutto quello che sognavo da piccola nella mia stanza senza saperlo. Fra i primi ad avvicinarmi in un bar ci fu Renato Guttuso. Mi fece cinque o sei ritratti, uno me lo regalò. Schivai parecchi finti agenti di spettacolo, che mi fermavano per strada, ma uno vero mi procurò la pubblicità di un caffè e un altro mi presentò Scattini, che aveva questo film nel cassetto e continuava a ripetermi “sei quella che cercavo, ho girato tutta l’Africa per trovarti ed eri qui”. Arrivò subito il secondo film, il terzo e via così… Sono stata la prima attrice a finire sulla copertina di Playboy e la prima italiana a fare Playboy America. Niente di osé: ero stesa fra le rovine di Pompei fra pepli rossi».

Nel 1975, incontra suo marito, a Los Angeles. Lui era lì per la candidatura all’Oscar di «Amarcord» e lei?
«Studiavo inglese. Avevo già conosciuto Franco (Cristaldi) a Roma, lo rividi lì, lo pregai di trovarmi un biglietto per gli Oscar e disse: sono solo, andiamo insieme».

Zeudi Araya: “Film erotico? Mio padre comprò tutti i biglietti. Mio marito? Lo vedo ancora ovunque”

[…] Perché dopo le nozze smise di fare l’attrice?
«Perché quando giri, la sera, torni in albergo e sei sola. Io volevo stare con Franco».

Come fu perderlo?
«Non me l’aspettavo ed era già un momento difficile. Avevamo desiderato tanto un figlio, venivamo da anni di pellegrinaggi strazianti tra i medici. Finalmente, ero rimasta incinta, ma persi la bimba al sesto mese di gravidanza. Del mio risveglio, ricordo Franco che piangeva e diceva “la bambina non c’è più”. Pochi mesi dopo, ebbe mal di cuore, si operò. Stavo per riportarlo a casa per la convalescenza, ma disse tre volte “mi gira la testa” e, dopo poco, non c’era più. Fu uno choc fortissimo. Giancarla, la moglie di Rosi, mi chiamava: “Che stai a fa’? Stai a piagne’? Vai un po’ in ufficio, va’ che ti fa bene”. E così feci: mi buttai a capofitto nelle carte di Franco. Fu difficile: un conto era aver letto i copioni, un altro entrare a 360 gradi in un’industria. Lavoravo come in preda a un’ossessione, per ore, anche barcollando, anche inciampando. Mi è uscita fuori una forza che non avrei mai immaginato».

Si sta commuovendo?
«Dimenticare mi è difficile, vedo ancora Franco dappertutto. Vivo fra i suoi appunti, i suoi copioni. Ho fatto fare una cappella per lui, con davanti una panchina. Pensavo di sedermi a lavorare lì. Pensavo: così Franco mi sta vicino. Sono le cose che fai quando sei disperato. Poi andavo e mi prendeva la tristezza. Così, adesso, vado, lascio dei fiori e non mi siedo mai. Ho sempre creduto che dopo finisce tutto. Poi, se c’è il paradiso non voglio disperare, ma secondo me il paradiso bisogna viverlo prima. Io sono stata fortunata, perché per un po’ l’ho vissuto».

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