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Spettacolo

Edoardo Bennato: “La mia canzone del 74 aveva previsto tutto. Nessun rispetto per i politici, ma ad altri”

Edoardo Bennato e la canzone del 74 che aveva previsto tutto, il retroscena in una intervista a ‘Il Giornale’

Edoardo Bennato: “La mia canzone del 74 aveva previsto tutto. Nessun rispetto per i politici, ma ad altri”. Il cantautore napoletano parla della pandemia, e non solo, in una intervista a ‘Il Giornale’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Bennato, ma lei già nel 1974 aveva previsto tutto?
“Non sono un veggente, anche se oggi fa impressione rileggere il testo di “Bravi ragazzi”.

Ma si sarebbe mai immaginato di vivere a distanza di anni una situazione del genere?
“No, non lo avrei mai immaginato. Devo dirle però che ciò che più mi impressiona è la complementarietà tra i miei brani della ‘prima ora’ e gli ultimi. La ritmica schizofrenica ‘bennatiana’ non è cambiata così come non sono cambiate le incoerenze che racconto. È la forza del rock”.

Una musica molto diversa da quella leggera a cui ormai siamo abituati?
“La musica leggera è rassicurante, serve a distrarsi, a divagare… il rock invece si nutre degli scompensi, dei problemi sociali, degli eterni paradossi di un’umanità in costante e progressivo subbuglio. Invita a riflettere, destabilizza, trasmettendo comunque positività”.

È la ritmica giusta per raccontare l’Italia del 2021?
“Certo, perché le disuguaglianze e le ingiustizie non sono scomparse, anzi si sono addirittura aggravate”.

Per colpa della pandemia?
“Il covid è un problema ovvio, che prima o poi sconfiggeremo. Ma le difficoltà e le insidie di oggi arrivano da lontano. Il risultato è un’Italia confusa, maltrattata, aberrante. È l’Italia della caccia alle streghe, della Santa Inquisizione…”.

Ma se non è colpa della pandemia, allora di chi è?
“Per esempio dei nostri politicanti per i quali non ho nessun rispetto. Grande rispetto invece verso il gommista, l’elettrauto, l’idraulico… quelli che davvero mandano avanti il nostro paese”.

Da dove deriva questa avversione verso i nostri politici?
“Da quello che osservo: la loro è una lotta spietata tra guelfi e ghibellini. Vivono nella retorica dell’Italia unita, ma non sanno neanche quale bandiera sventolare. Sono divisi e non hanno alcuna intenzione di risolvere i problemi”.

[…] Le disuguaglianze però sono solo un problema italiano?
“No. Veda, per capirle meglio bisogna prendere come parametro di riferimento la latitudine. Tutto dipende da quello. A Vancouver si vive benissimo, mentre Lagos è una polveriera pronta a esplodere”.

Perché secondo lei?
“Perché i rappresentanti, coloro che vengono votati, al nord sono poi costantemente controllati dai rappresentati, ma più si scende di latitudine e più questo non avviene. Io però da uomo del sud difendo il sud con convinzione, senza retorica. Cerco di analizzare il motivo per cui due figli della stessa razza – perché esiste un’unica razza, chiariamo – in Canada e in Nigeria debbano vivere in maniera così diversa”.

[…] “Grazie agli smartphone oggi dovremmo essere tutti più acculturati e invece non è così. Ci manca un codice, un metodo che ci insegni a capire come interpretare la realtà. E la cosa assurda è che manca proprio lì dove dovrebbe esserci, nelle università dove si insegnano letteratura, scienze politiche, sociologia…”.

Quindi oggi secondo lei siamo tutti un po’ più ignoranti?
“Siamo solo apparentemente informati. Le faccio un esempio. Oggi si parla tanto di vaccino, ma in pochissimi sanno chi è Sabin, il virologo polacco che sviluppò il vaccino contro la poliomielite. È impressionante come siano pochissimi a conoscerlo, anche nell’élite più sensibile. Girando per le librerie è difficile persino trovare libri su di lui. Neanche Celentano sapeva chi era, quando glielo ho raccontato è rimasto sbalordito”.

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