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Caterina Balivo: “Tornatore nel 2001 mi gelò con una frase. Non ne potevo più, senza tv mi godo la famiglia”

Caterina Balivo su Tornatore e non solo, l’intervista a ‘Vanity Fair’

Caterina Balivo: “Tornatore nel 2001 mi gelò con una frase. Non ne potevo più, senza tv mi godo la famiglia”. La conduttrice parla di questi mesi in cui, senza lavorare a causa della pandemia, ha riscoperto lo stare in famiglia. Di seguito alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a ‘Vanity Fair’.

Quando la pandemia ha fermato gli emisferi, lei, 41enne di Napoli, si è guardata dentro e, un giorno di quelli che si ripetevano uguali a loro stessi, ha scelto.
«Spengo la lucina rossa della telecamera puntata su di me, i riflettori della televisione. È successo che ho cominciato a interrogarmi, e quando cominci a interrogarti cominci pure a capire come sei fatta. E sei fatta di cose che ti piacciono e di cose che ti piacciono meno. Inizi a parlare con i tuoi figli come prima non riuscivi, perché non ti restava che la notte per potertici dedicare.

A me, fino allo scorso maggio in cui mi sono fermata, accadevano storie belle, bellissime, e non me le godevo, non riuscivo a viverle intensamente. Sembrava sempre mancarmi il tempo, era tutto un riempire buchi, il che mi mandava fuori di testa. Quando mi sono sposata, per esempio, stavo con il pensiero che, due giorni dopo, dovevo registrare. Ma quanto mi sarebbe piaciuto restarmene nel letto con mio marito in quell’emozione? O, quando sono nati i miei figli, quanto avrei potuto stare lì ad allattarli godendomeli, senza angosciarmi se si sarebbero svegliati di notte? Invece ero una macchina. “Avanti il prossimo”. Ecco, non ne potevo più di “Avanti il prossimo”».

Caterina Balivo: “Tornatore nel 2001 mi gelò con una frase”

[…] Il buio lo sente?
«Nessun buio. Non posso pensare di caderci, quando io sono sana, come i miei cari, mio papà sta per fare il vaccino e c’è gente che ha pianto davvero. Semmai il vuoto, un po’. La tv è stata la mia casa così a lungo che a volte di soprassalto mi viene da chiedermi: “Oddio, ma la redazione? Le riunioni?”. Dura un attimo, perché sono sempre positiva e questo mi tiene con la barra dritta. È così che il vuoto non diventa buio».

[…] In attesa di tornare forse in tv, tiene un podcast sulla piattaforma Chora dal titolo imperioso: Ricomincio dal no. Che viaggio umano è?
«Mi piaceva l’idea dei “no” fertili, di cosa ci succede di positivo quando invertiamo la loro tendenza negativa. A Bebe Vio hanno detto: “Non camminerai”, e ha al collo una medaglia d’oro olimpica. Stefano Domenicali se l’è detto da solo: “No a essere ancora il capo della Ferrari”, ed è arrivata la responsabilità di tutta la Formula Uno. Ersilia Vaudo, manager dell’Energia Spaziale Europea, cercarono di scoraggiarla: “Ma dove vai che non sai neanche il francese?”. Nessuno poteva però immaginare che, al colloquio, se la sarebbe giocata bene grazie a un libro di Schopenhauer».

E quelli che hanno detto a lei, di no?
«Racconto anche loro, uno in ogni puntata. C’è stato quello di Tornatore nel 2001, mi chiamò e mi gelò: “Mi dispiace, non sei più tu”. E restò la Bellucci, in quello spot di Dolce&Gabbana. Accusai il colpo, ma mi servì per focalizzare meglio che dovevo concentrarmi su quello che volevo veramente, e non era diventare attrice. Di mio padre fu categorico il no sulla danza, con l’imposizione del nuoto, ma non era cattivo. Lo capisco adesso che mio figlio preme per il padel, e io insisto: comincia con il tennis. Ma insisto con giuste cause: il cielo aperto, il campo più grande, rimandare l’escamotage del vetro. È un dirgli: “Punta alla luna, che a raggiungere il tetto fai sempre in tempo”».

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