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Giovanni Allevi: “Ho l’Asperger. Tonno in scatola? Fondamentale per la mia carriera. E sulle critiche…”

Giovanni Allevi: “Ho l’Asperger. Tonno in scatola? Fondamentale per la mia carriera. E sulle critiche…”. Il musicista si racconta in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Giovanni Allevi, che ruolo ha giocato il tonno in scatola nella sua carriera di musicista?
«Fondamentale. Nel primo periodo in cui ho vissuto a Milano abitavo in un monolocale e facevo il cameriere per pagare l’affitto. Nonostante le difficoltà economiche, il mio pensiero principale era scrivere musica. Mi ero appena diplomato in composizione al Conservatorio Giuseppe Verdi e, non avendo tempo per cucinare, ho scoperto che il modo più rapido per nutrirmi era rovesciare una scatoletta di tonno sulla pasta appena scolata direttamente nella pentola e mangiarla. Per un anno è stata la mia dieta abituale».

Cosa insegna questo?
«Mette in evidenza una maniacalità che mi ha sempre accompagnato nel corso della ricerca musicale. Sono portato per natura a concentrarmi in maniera spasmodica su determinati aspetti e lasciar perdere il resto. Diversi psicologi hanno ritenuto che questo e altri miei comportamenti siano riferibili alla cosiddetta “Sindrome di Asperger”, una leggera forma di autismo».

Quando uscì il suo primo disco ci chiedemmo in tanti: è classica, leggera? Jazz? Io osai battezzarla come «apolide».
«Quanti anni sono passati da quella definizione?».

Giovanni Allevi: “Ho l’Asperger, i medici lo hanno dedotto da alcuni miei comportamenti”

Più di quindici.
«In tutti questi anni di ricerca artistica è come se non avessi mai trovato una casa, un approdo, o la protezione della torre d’avorio. Costretto a vagare come Ulisse ho sempre cercato nella musica un lembo di eternità, l’ebbrezza della libertà».

Ritiene di aver aperto una nuova strada?
«Detto con umiltà, sì. Una strada controcorrente. La musica oggi è troppo semplice, lo specchio di una società conformista. Il dovere di artista mi impone di recuperare la complessità delle forme. Quella profondità e incomprensibilità che appartengono alla tradizione classica, sono il mio sogno, la mia missione. E il risultato spesso è l’incomprensione».

Da parte di chi?
«Ho creato una spaccatura. Da una parte ho ricevuto le critiche velenose di alcuni colleghi e dall’altra grandi riconoscimenti. Una rottura non cercata, dal momento che ho un carattere mite, incline al dialogo. Ma l’idea che la tradizione classica possa e debba essere innovata è stata vissuta da parte del mondo accademico come un peccato di lesa maestà. Il tempo mi sta dando ragione. Tutte le opposizioni più o meno faziose non hanno scalfito il mio entusiasmo e l’affetto che ricevo dalla gente».

Un Asteroide intitolato a Giovanni Allevi dalla Nasa, Stella d’Oro al Valor Mozartiano dalla Mozart Association, palazzetti dello sport pieni, apprezzamenti da parte di Gorbaciov, Papa Benedetto XVI, Papa Francesco. Non c’è il rischio di montarsi la testa?
«No, semplicemente perché il mio desiderio intimo non è andare a caccia di riconoscimenti ma affrontare una sfida musicale. Scrivere il “Concerto per violino e orchestra” è stato come scalare l’Everest. E una volta messa l’ultima nota ho provato una gioia immensa. Questa è l’ebbrezza di essere artisti».

Giovanni Allevi: “Ho l’Asperger”

Devo darle del tu. Eccentrico. Imprevedibile Ma tu ci sei o ci fai?
«In quanto possibile Asperger sono avvolto in una ripetitività ossessiva di gesti e comportamenti. La mia risata arriva spesso improvvisa, non contestualizzata. E questo complica tutto da un punto di vista mediatico. Si tratta di una reazione psicologica al tentativo di avere un controllo sulla vita che continuamente mi sfugge. Probabilmente l’essere apolide è il mio peccato originale. La mia dannazione e la mia benedizione insieme».

Ama correre, come Forrest Gump?
«Con la corsa mi illudo di pedinare la mia inquietudine. Da anni corro quasi un’ora al giorno. La mente si annebbia e affiorano le idee musicali e filosofiche che mi regalano sollievo. Non lo faccio per salutismo ma per fuggire dal buio dell’anima».

Dove corre?
«A Milano sul tapis roulant, ad Ascoli Piceno in campagna a contatto con la natura».

A volte si è definito come «un asociale amato dai social»…
«Grande paradosso. Io non sono nato con i social. Dopo i concerti per anni ho incontrato i fan a tu per tu guardandoci negli occhi, ascoltando le loro emozioni. All’improvviso tutto si è spostato sul virtuale. Ma è rimasta la mia attitudine ad ascoltare. L’essere umano è una realtà complessa e profonda che contiene in sé l’inferno e il paradiso, questo mi affascina. E quando le persone mi scrivono sui social io resto incantato: mi perdo nelle loro descrizioni, amo il loro mondo interiore. E qui capisci che il numero di follower non conta, perché ciascuno di loro è un infinito e trovo assurdo che il mondo contemporaneo insegua i numeri, tralasciando l’unicità dell’essere umano».

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