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Salute

Tetano, non è la ruggine a causarlo: scoperta la vera causa

Tetano, non è la ruggine a causarlo: scoperta la vera causa. Non è la ruggine a causare il tetano ma un batterio che può contaminare le superfici. Lo spiega Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli Irccs di Roma, a ‘Il Corriere della Sera’.

«Il tetano è una grave malattia infettiva causata da batterio Clostridum tetani che ha la caratteristica di produrre spore. Queste spore possono rimanere a lungo, mesi o addirittura anni, nel terreno e per questo possono contaminare oggetti con cui ci si può ferire. Attraverso una ferita profonda, o più di rado il morso di un animale, se contaminati con terriccio, le spore possono infettare l’organismo umano.

E «in condizioni opportune, sono in grado di trasformarsi nella forma vegetativa del batterio che produce una tossina neurotossica, chiamata tetanospasmina. Quando questa tossina, altamente letale in quantità piccolissime, raggiunge il sistema nervoso centrale, blocca il rilascio di neurotrasmettitori ad azione inibente. Inoltre causa contrazioni involontarie e dolorose della muscolatura».

Tetano, non è la ruggine a causarlo: le parole dell’esperto

«Grazie alla vaccinazione antitetanica, oggi il rischio di infettarsi è notevolmente diminuito ma non completamente azzerato […] Il problema è che il suo effetto protettivo diminuisce nel tempo e non tutti fanno i richiami raccomandati».

«Che cosa bisogna fare nel caso ci si dovesse procurare una ferita? In genere le ferite del tutto superficiali e pulite non comportano particolari rischi, è sufficiente disinfettarle con cura […] La valutazione se sussista un rischio reale di tetano spetta al medico.

In tali casi si segue un protocollo che tiene in considerazione lo stato vaccinale dell’interessato. Questo aspetto e, in particolare, al tempo trascorso dall’ultimo richiamo, si valuta se eseguire una profilassi antitetanica che preveda la somministrazione del vaccino e, in caso di ferite ad alto rischio, anche il ricorso a immunoglobuline specifiche».

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