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Il dramma di Valeria Graci: “Sono accadute delle cose molto gravi e molto serie che ho denunciato”

Il dramma di Valeria Graci: “Sono accadute delle cose molto gravi e molto serie che ho denunciato”. L’attrice comica e conduttrice si sfoga raccontando il suo calvario in una intervista a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

«La mia riservatezza, la mia forza nel privato, ha fatto sì che tanti si stupissero. Il pubblico non si aspettava che una come me potesse aver vissuto una vicenda comune a tante donne. Ma io e quelle donne non siamo diverse. Bisogna che tutto questo sia riportato alla normalità. La violenza colpisce tutti. Io sono stata solo un po’ più fortunata degli altri».

Perché parla di fortuna?
«Perché ho la piena consapevolezza di quanto mi abbiano aiutata la mia famiglia, i miei amici. Ho avuto la possibilità, poi, di affrontare un percorso di analisi. E, mi creda, questa è una fortuna che non tutti hanno. Per tutti, non intendo solo chi abbia a che fare con una relazione tossica, ma chi scelga di abbracciare i propri gusti sessuali, di andare controcorrente, contro quel che la famiglia vorrebbe».

Quando ha capito di dover chiedere aiuto?
«Quasi subito. Io e il mio compagno, padre di mio figlio Pierluigi (“Pigi”, lo chiamerà di qui in avanti, ndr), ci siamo separati nella primavera del 2018, ma ho cominciato a percepire che la nostra relazione stava prendendo una direzione non sana, non giusta almeno due anni prima. In questo lasso di tempo, ho avuto tanto aiuto».

E non ha avuto «vergogna» nel chiederlo.
«Forse, all’inizio, un po’ di vergogna l’ho provata. Poi, grazie all’analisi e ad una grandissima amica, Ornella, mia guru e seconda madre, ho buttato fuori tutto. L’ho vomitato al telefono, tra le lacrime, l’ho lasciato nei pacchetti di sigaretta svuotati in macchina, istericamente».

Il dramma di Valeria Graci: “Il pubblico non si aspettava che una come me potesse aver vissuto una vicenda comune a tante donne”

Cos’è questo «tutto» di cui parla?
«Un incancrenirsi, progressivo, del rapporto. A un certo punto, quasi ho cominciato a credere che fosse la normalità: che sentirsi dire “Non vali un cazzo”, “Senza di me non andrai da nessuna parte”, “Non sei nessuno”, “Tornerai strisciando” fosse giusto, fosse vero. Ho iniziato a convincermi di non potercela fare da sola. Me lo chiedevo tutti i giorni: “Ce la farò?”. Nessuno, però, può avere risposta».

Com’è arrivata a spezzare il circolo vizioso degli abusi verbali?
«A piccoli passi, nel corso degli anni. Ho avuto una madre che è stata capace di tirarmi su, di spronarmi. Ho avuto le amiche e tutta una serie di altri cuscinetti, mi piace chiamarli così. Quando cadi e lo fai su dei cuscini, alcuni più grandi, altri più piccoli, attutisci il colpo. In questi anni, ho fatto così: ho attutito il colpo.

E sono felice, perché ci ho provato, perché nonostante tutto ho cercato di salvare la mia famiglia. Mi sono tormentata pensando a mio figlio, senza un padre. Mi chiedevo se sarei stata capace di crescerlo, se avrebbe sofferto, se i soldi sarebbero bastati. Accettare l’infelicità o saltare nel vuoto: dovevo scegliere. Ma il vuoto, quel che non conosci, genera paura. Paura vera, quel genere di paura che ti tiene sveglio la notte, ti provoca attacchi di panico».

Eppure, è arrivata a scegliere l’ignoto. Come?
«Pigi. Devo a mio figlio la scoperta della mia forza. Da madre, arriva un momento in cui ti accorgi che saresti disposta ad uccidere per il tuo bambino. Ho capito che non avrei potuto andare avanti così. Litigare la mattina alle sei, con il mio Pigi che finge di dormire. Sono sarebbe stato giusto. Ho preso il coraggio a due mani: è stato devastante, ma adrenalinico».

Si è separata.
«Non eravamo sposati. Abbiamo avuto nostro figlio perché lo abbiamo desiderato molto. È stato un grande amore, all’inizio, e forse per questo c’è stato tanto dolore. Ringrazierò sempre il mio ex compagno per essere il padre di mio figlio. Ma sono accadute delle cose molto gravi e molto serie per cui io sono stata costretta a denunciare. Non solo ad andare in commissariato, ma a rendere pubblico quel che è successo, a metterlo agli atti. Io ho subito un’aggressione e denunciato. Ora se ne occupa la giustizia, che ha tempi molto lunghi. Tu aspetti, stai nel limbo dell’attesa, e speri che un giorno la giustizia faccia il proprio corso».

Il dramma di Valeria Graci: “Sono accadute delle cose molto gravi e molto serie”

Cos’è successo poi?
«Sono rimasta a Roma, dove mi ero trasferita per amore. Ho affittato una piccola casetta, la “casa della ferrovia”, come l’abbiamo chiamata io e Pigi. Volevo che mio figlio finisse le elementari e stesse vicino a suo padre. Nel frattempo, sono entrati in scena gli avvocati, i tribunali. Tutto questo non dovrebbe succedere: dovremmo essere talmente evoluti dal punto di vista sociale ed emotivo da saperci dire “È finita, buona vita, rimarremo genitori di un bambino meraviglioso”. Invece, spesso, ci si augura la morte, la malattia».

[…] Come ha preso suo figlio tutto questo?
«È un bambino molto sensibile e selettivo. È buono. Quando ha finito le Elementari, ci siamo trasferiti a Milano. “Mamma, prendimi per mano perché il primo passo qui lo voglio fare con te”, mi ha detto. Ancora mi viene da piangere. Non tutti i libri sono in ordine sulla libreria, se posso usare questa metafora, ma il tempo ha portato un po’ di armonia».

E il lavoro? Quanto è stato difficile dover essere sempre sorridente, divertente?
«Nessuno me lo ha mai chiesto, ma è stato fondamentale. Se avesse fatto un lavoro “normale”, probabilmente, non mi sarei ripresa così presto. Ricordo momenti in camerino in cui la mia faccia era una maschera di lacrime. La mia truccatrice mi ammoniva: “Dobbiamo andare”, mi diceva. E andavamo. Con i nasi finti, il trucco, il sorriso e un’altra maschera in faccia. Quest’altra maschera mi ha salvata, è stata la mia cura. Fossi stata un’impiegata, mi sarei presa un permesso per stare a casa e piangere. Facendo spettacolo ho dovuto andare avanti».

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