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Teo Teocoli: “Berlusconi mi accompagnò alla porta per una battuta. Ho un’impronta che non andrà più via”

Teo Teocoli: “Berlusconi mi accompagnò alla porta per una battuta. Ho un’impronta che non andrà più via”. Teo Teocoli, Berlusconi e quel retroscena mai raccontato, il comico e conduttore ripercorre i momenti più significativi dei suoi esordi a Milano. Di seguito alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a ‘Il Giornale’.

Allora Zelig è il suo mondo.
«Zelig non è proprio casa mia. Io sono più da Derby (il celebre locale di Milano, culla di tanti talenti – ndr). Ci ho trascorso 17 anni e quell’impronta non andrà più via».

Boldi, Cochi e Renato, Beruschi, i Gatti di Vicolo Miracoli eccetera. Chi è stato il più grande?
«Enzo Jannacci, anche se non sapeva ballare (sorride – ndr). In quel luogo succedeva di tutto, si creavano linguaggi, immagini, storie. Era una fucina di battutisti, nascevano i gerghi. Ricorda Guido Nicheli, sa Dogui, ossia Zampetti? Ecco noi parlavamo proprio così quando volevamo rendere una certa idea. Lui mi chiamava Yoghi perché dormivo sempre.

Diego Abatantuono chiese di stare dietro a me e Boldi sul palco per imparare. Aveva un impermeabile bianco e la gente rideva… Gli spettacoli erano lunghissimi, andavano avanti fino alle 3 e quando il comico di turno diceva e ora per finire… qualcuno in sala diceva sempre ecco, bravo. Poi si andava al Capolinea, poi a fare colazione, poi a prendere i giornali. L’unico momento in cui Milano si fermava era tra le 6.45 e le 7. In giro era il deserto. E io mi godevo quel quarto d’ora. Poi iniziava la città».

Prima del Derby, cantava ne I Quelli, che poi diventarono La Premiata Forneria Marconi.
«Avevo una fidanzata a Parigi, si chiamava France, passai un mese là e tornai con i dischi rhythm’n’blues. Loro se ne innamorarono. Una volta, dopo aver suonato a Torino, toccò a me riportare a Milano gli strumenti. Chiesi ai Camaleonti il loro furgoncino, anche se non avevo la patente. Non riuscivo a caricare tutti gli strumenti e allora mi aiutò un musicista che suonava lì. Era Lucio Battisti, allora con i Campioni. Nacque un’amicizia, lo portai da Mogol, che però non c’era. Lucio tornò altre volte, lo incontrò e nacque la coppia».

Poi però lei se ne andò da I Quelli.
«Franz Di Cioccio e Franco Mussida e gli altri diventavano sempre più bravi, io manco mi ricordavo i testi delle canzoni. Ci siamo divisi…».

Entrò nel Clan Celentano.
«E incisi tre o quattro canzoni tra le più brutte di tutti i tempi. Un giorno nello studio di Piazza Cavour, sto registrando un brano nuovo e arriva Adriano: Eh no, questo pezzo è una fregatura, altrimenti l’avrei fatto io. Era Nessuno mi può giudicare…».

Poi entra nel cast del musical Hair.
«Con Loredana Bertè e Renato Zero. Andavamo in giro, lei vestita da Satanik e lui da baronetto inglese, la gente si stupiva. Loro due si amano e si odiano da tutta la vita…».

Poi arriva la tv.
«Con Boldi e Gaspare e Zuzzurro andammo da Berlusconi a Villa San Martino. Parlammo, fece delle proposte, non ero d’accordo e dissi: Lei costruisca pure Milano 2 che io faccio il mio mestiere. Fui praticamente accompagnato alla porta. Aspettai in auto un’ora e mezza prima che gli altri uscissero. Ma qualche anno dopo fu proprio Berlusconi a richiamarmi nelle sue tv, aveva riconosciuto il mio talento».

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