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Spettacolo

Rocco Papaleo si racconta: “Separato ma porto ancora la fede. Faccio schifo, molti non se ne accorgono per un motivo”

Rocco Papaleo si racconta: “Separato ma porto ancora la fede. Faccio schifo, molti non se ne accorgono per un motivo”. Rocco Papaleo si racconta, l’attore lucano ripercorre la sua vita fin dall’adolescenza in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

«[…] faccio schifo. Poi molti non se ne accorgono perché mi hanno in simpatia, ma io lo so».

Un blob dei suoi momenti migliori?
«Athos in Tutti per 1, 1 per tutti, quando gli altri due hanno disertato e lui torna al galoppo: al galoppo non ero mai andato, fa paura , ma sono sceso e sembravo un cavaliere di grande agilità. E poi con Anna Foglietta nell’ultimo film di Carlo Verdone, quando la seduco facendole credere di essere malato e poi la bacio. A ritroso, un comizio in Del perduto amore di Michele Placido: mi è riuscito bene perché mi ricordavo quelli visti al paese. E qualche scena del Pranzo della domenica di Carlo Vanzina: mi spiace che per alcuni non sia un regista nobile».

Qual è il momento topico della gioventù?
«Quando scelsi lo Scientifico solo perché stava a Lagonegro, 19 chilometri da Lauria. Dovevo alzarmi un’ora prima, ma mi dava l’idea di viaggiare, avere libertà. Potevo fumare per strada: avevo iniziato l’estate dopo le medie, con mamma, di nascosto da mio padre».

A fumare, a 13 anni con sua mamma?
«Prendevamo il pacchetto, l’aprivamo da sotto, sfilavamo una sigaretta e lo ricomponevamo affinché lui non se ne accorgesse. Era un gioco, un’intimità spericolata. Con mamma ho avuto un rapporto di gran confidenza, almeno finché le problematiche erano accessibili sia a me sia a lei, che non era un’intellettuale ed era religiosa al limite del bigotto. Però, era tanto simpatica».

E lei che bambino era?
«Felice, figlio unico in una famiglia degli anni ’60 , con papà impiegato delle imposte, i parenti nei giorni di festa. Avevo tutto quello che desideravo o forse non avevo desideri eccessivi».

S’intuiva già la vena comica?
«Ero vivace, zia Teresa si ricorda che zompavo dal tavolo al divano. Mi piaceva scherzare, ma non è che si prospettava una vita d’artista».

Rocco Papaleo si racconta: “Scuola? Scelsi lo Scientifico solo per viaggiare”

A scuola se la cavava?
«Scrivevo bei compiti di italiano. Una volta ne scrissi uno su Corradino di Svevia e il prof lo annullò: era così bello che pensò l’avessi copiato».

Però, all’università, scelse Matematica.
«Soprattutto per andare a Roma. Era il 1976, tutti i ragazzi di provincia sognavano la città pensando di trovarci l’Eden. In parte era vero, era tutto più affascinante, anche troppo, tant’è che non ho concluso niente: davo giusto un esame all’anno per rimandare il militare».

[…] Da lì, molto teatro e, nel 1989, prima particina al cinema con Mario Monicelli.
«Male Oscuro compare nella biografia per vezzo: io stavo nella tromba delle scale e la scena si svolgeva in casa. Monicelli neanche lo vidi».

[…] Poi, un corto di cui era protagonista e in cui recitava in dialetto, «Senza parole» di Antonello De Leo, fu candidato agli Oscar.
«Non volli andare a Hollywood e quella notte staccai il telefono, anche per una specie di modestia o di sano realismo».

La svolta arriva con Leonardo Pieraccioni?
«Fu il primo ruolo da protagonista, con lui ho fatto sei film, ma la svolta viene quando Giovanni Veronesi mi presentò a Pieraccioni: mi aveva visto suonare la chitarra a una festa. Con lui, poi, ho fatto quattro film e abitiamo anche vicini».

[…] Tre film da regista, un quarto in arrivo. Da quanto covava progetti da regista?
«Tutto nacque per caso: avevo appuntamento con Rita Rusic, ai tempi moglie di Vittorio Cecchi Gori. Nell’andare a casa loro vivo un’odissea metropolitana che diventa un aneddoto che racconto alle cene. Enrico Lucherini disse: devi farci un corto e, a una premiazione, invita sul palco Cecchi Gori, che non sapeva niente, dicendo che produrrà il mio primo corto. Lo girai e così mi morse la tarantola di fare il regista».

[…] Da lì, arriva «Basilicata Coast to coast».
«Mi ha permesso di approfondire il legame con la mia terra, conoscevo solo i paesi vicini a casa. Sono stato prima a New York che a Matera. Ho scoperto un Dna comune col mio popolo: un modo di vivere un po’ modesto, discreto, in cui si cerca di non dar fastidio al prossimo».

Rocco Papaleo si racconta: “Separato ma porto ancora la fede”

[…] Tentò pure Sanremo ma non la presero.
«Morandi mi disse che non volevano attori in gara. L’anno dopo mi chiamarono per affiancarlo e dissi: vengo, però voglio cantare la canzone che non mi avete preso l’anno scorso».

Un momento memorabile del Festival?
«Partiamo dal fatto che Morandi era il mio idolo. Arrivo a Bologna per andare a Sanremo con lui, scendo dal treno e c’era proprio lui che mi aspettava. Resto basito, penso: ma come, Morandi sta qua come uno normale. Poi mi dice: dobbiamo passare da casa di Adriano Celentano. Altro mio idolo. Entro in un mondo: il mondo di Celentano, con lui che ci fa vedere il suo studio di registrazione e quello dove aggiusta gli orologi. E mi colpisce per quanto è dolce: non me l’aspettavo da uno così stravagante. Se c’è una cosa che non ho dismesso è la fascinazione per le star come le guardavo da giovane. Non mi sono mai sentito collega».

[…] In un’intervista, disse che il momento più alto della sua vita affettiva era stato con la sua ex moglie. È rimasto quello il momento alto?
«Sì, perché abbiamo avuto un figlio che è il mio centro sentimentale. Ho pure continuato a portare la fede. Però a destra. È un simbolo: se non ci fosse stato il figlio, non la porterei, ma c’è, e questo fa di noi un trio».

La fede non scoraggia le nuove fidanzate?
«Immagino di sì, tant’è che non sto con nessuna, ma se m’innamorassi ancora la toglierei».

Cos’è «Scordato», sua prossima regia?
«Posso dire poco, sto ancora montando. Parla di un accordatore di pianoforti che non è accordato col contesto, c’è una ragione e il film è una vita stonata. Mi sembra il mio film migliore».

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