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Piero Pelù: “Politica? Credo in un solo partito. Io salvo dell’eroina, il Vietnam degli anni ’80”

Piero Pelù: “Politica? Credo in un solo partito. Io salvo dell’eroina, il Vietnam degli anni ’80”. Piero Pelù sulla politica e non solo, il cantante dei Litfiba si racconta in occasione dei suoi sessant’anni ripercorrendo le varie tappe della sua vita in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Amadeus è stato chiamato da Mattarella: da sempre il suo cuore batte a sinistra, Piero. Cosa pensa della rielezione?
«Che c’è rimasto solo lui. E che, se i miei valori sono quelli di sempre, oggi credo solo nel partito del rock’n’roll».

E a Sanremo conobbe la compianta Raffaella Carrà.
«Nel 2001 mi fece fare un monologo sulle mine anti-uomo, quando non si usava parlare d’altro, come oggi. Da allora l’ho amata svisceratamente. Tanto più a «The Voice», dove abbiamo fatto coppia fissa. E dove ho scoperto che fumava come una camionista turca: pensi un po’, il rocker che doveva rimproverare la conduttrice perbene».

A Sanremo sono tornati i Måneskin.
«Nonostante il successo planetario, sono un gruppo che si migliora sempre. Impressionanti».

Loro iniziano, voi finite. Ma chi sono stati i Litfiba?
«Abbiamo toccato delle corde che non pensavamo, ciò che sentivamo noi, sentiva il pubblico. Non ho mai fatto musica con intenzioni mercenarie; era il solo modo per salvarmi dal mio disagio, dalla mia inadeguatezza, dalla mia ombrosità, dalla mia solitudine, dalla mia timidezza».

Piero Pelù: “Politica? Credo in un solo partito”

A proposito di salvataggi: il tour si chiama appunto «L’ultimo girone», con Aldo Cazzullo legge Dante, forse un inferno a cui è scampato è l’eroina di cui sopra.
«Sì, è stato il nostro Vietnam negli anni 80, per l’eroina ho perso più che un compagno di band, un fratello, Ringo De Palma. Io la odiavo e mi preoccupa che stia tornando di nuovo e i ragazzi di oggi non sappiano cosa significhi».

A 60 anni si smentiscono le leggende metropolitane: la prima, alimentata dagli altri, è che lei avesse cantato la sigla di «Jeeg Robot d’acciaio»
«Ah ah, magari. No, si chiamava Roberto Fogu il cantante. Forse l’equivoco è nato dal fatto che entrambi i nostri cognomi finissero per u. Comunque poi l’ho incisa anch’io».

Un’altra, alimentata da lei, ai tempi de «L’anello no, no non te lo do» è che non si sarebbe mai sposato. Perché ha ceduto?
«Se trovi una donna con cui hai cosi tanti punti in comune, uno scambio continuo così profondo e sincero, perché non farlo?»

I figli sono tre, è anche nonno, pensate al quarto?
«No, non mi vedo a 76 anni a litigare con un adolescente, ad aspettarlo in incognito con baffi finti e occhiali fuori da una discoteca».

E a 60 anni si fanno i bilanci: la cosa di cui va più fiero?
«Essermi occupato appieno delle mie figlie. E, artisticamente, non aver mollato mai, neanche nei momenti più bui».

L’errore più grande che ha commesso?
«Ne ho fatti talmente tanti, ma non rinnego niente. Perché se sono qua oggi è anche per quegli errori».

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