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Spettacolo

Bobby Solo: “Nome d’arte frutto di un malinteso. Bocciato dalla Rai, una frase mi ha dato la forza di continuare”

Bobby Solo: “Nome d’arte frutto di un malinteso. Bocciato dalla Rai, una frase mi ha dato la forza di continuare”. Bobby Solo sul nome d’arte e non solo, il cantante romano, 77 anni, si racconta ripercorrendo le tappe più significative della sua carriera in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Bobby Solo è vero che il suo nome d’arte è nato per un malinteso?
«Mio padre era del 1906 e amava solo la musica di Wagner, Beethoven, Verdi e Puccini e si vergognava di me. Lui diffidò la casa discografica di allora, la Ricordi, dicendo che io ero minorenne e che non avrebbero dovuto usare il cognome Saffi perché non voleva che all’Alitalia, dove lui lavorava come dirigente, venisse a sapere che io facevo il cantante.

Cosi il direttore artistico ha trasformato Roberto in Bobby. La segretaria ha poi chiesto: “Bobby cosa?” e la risposta fu: “Solo Bobby”. Lei che di nome faceva Stelvia, fraintese e così diventai Bobby Solo».

Bobby Solo: “Io bocciato dalla Rai, una frase mi ha dato la forza di continuare”

Ma come ha iniziato a fare il cantante?
«A 14 anni mi innamorai di Betsy Mc Gurn, figlia di un giornalista. Un amore platonico, senza nemmeno un bacio. Abitavamo nello stesso palazzo ed io ero innamorato della sua coda di cavallo biondo platino.

Lei mi parlava di Elvis Presley cosi mi feci mandare dei dischi da mia sorella a cui chiesi informazioni anche su questo cantante. Ho poi iniziato a pettinarmi come lui per fare colpo su Betsy. Mia mamma mi regalò una chitarra e ho cominciato a strimpellare chiedendo aiuto ad un falegname che c’era sotto casa che mi insegnò qualche accordo.

Mia madre era amica di uno sceneggiatore della Rai, Giuseppe Patroni Griffi, e così riuscii ad avere un’audizione un po’ come accade oggi con X Factor. Io ci andai e con molta timidezza cantai un brano di Elvis. Quando terminai, il gruppo di persone che mi aveva ascoltato per giudicarmi mi disse: “Signor Satti continui ad andare a scuola perché lei non farà mai il cantante, lei è negato per farlo”».

Lei come prese questa bocciatura?
«Scoppiai a piangere e il maestro Mario Gangi, leggendario chitarrista che suonava con Fausto Cigliano, mi fece una carezza e mi disse di non badare a quei vecchi tromboni che mi avevano giudicato. Mi rassicurò dicendo che sentiva che io avevo qualcosa che poteva portarmi al successo e quindi non dovevo mollare. E questo mi ha aiutato molto ad andare avanti».

Bobby Solo: “Nome d’arte? Vi raccontoil retroscena”

Ma è vero che all’inizio qualcuno le diceva che aveva la voce da eunuco?
«La mia casa discografica non mi amava, mi diceva di non imitare Elvis ma piuttosto Celentano. Dicevano che avevo i bassi di Frankenstein e il falsetto di un eunuco della Cappella sistina. Non volevano mandarmi a Sanremo».

Ma alla fine al Festival ci è andato e più volte, portando a casa anche due vittorie.
«A volere che io andassi a Sanremo è stato il padre di Mogol, Mariano Rapetti. Era l’unico che credeva in me e fu lui a mettermi in contatto con il figlio. La casa discografica invece riteneva che mandarmi a Sanremo fosse una perdita di tempo».

[…] Una vittoria l’ha condivisa con Iva Zanicchi. Con «Zingara» avete conquistato Sanremo. Ma lei ci tornerà all’Ariston?
«Non vado al Festival dal 2003 quando ci andai con Little Tony, un caro amico che mi manca tantissimo. Sanremo è sempre una buona occasione e sarei felice di tornare con una mia canzone. Io non ho fatto nessuna richiesta per andarci ma ho visto che i miei coetanei come Gianni Morandi, Donatella Rettore, Massimo Ranieri e Iva Zanicchi hanno fatto audience.

Quindi forse nei corridoi della Rai potrebbe aleggiare il desiderio di avere ancora dei personaggi di quel periodo. E di quel periodo chi è rimasto: Edoardo Vianello, Fausto Leali, Rita Pavone e Bobby Solo. Quindi se vogliono potrebbero contattarmi e se lo fanno andrò con piacere».

Bobby Solo: “Nome d’arte frutto di un malinteso”

[…] Ultimamente Bobby Solo è stato anche ospite fisso a Domenica In. È stata una esperienza gratificante?
«Mara per me è una santa. La devo ricoprire di fiori perché mi ha voluto con lei per 5 puntate e da qui mi sono arrivate molte richieste di serate e continuano ad arrivarmene. Da lei ho cantato dal vivo e il pubblico ha gradito».

Lei ha un figlio di 9 anni, farà il cantante da grande o la sua generazione pensa piuttosto a fare l’influencer?
«Rayan adora la pizza e voleva fare il pizzaiolo ma adesso ha cambiato idea anche se non ha grandi pretese. Io però l’ho visto a 5 anni giocare con i Lego ed aveva una grande abilità nel costruire i grattacieli. Mah, forse diventerà un ingegnere».

A proposito di ragazzini. Ma è vero che lei da piccolo era un teppistello?
«Lo ammetto. A 14 anni con gli amici andavamo a rubare le motociclette degli innamorati che andavano a passeggiare a Villa Glori a Roma. Poi le smontavamo e i pezzi li vendevamo a Porta Portese. Per questo siamo stati arrestati ma non siamo stati portati in carcere. Poi con un altro amico durante le Olimpiadi di Roma del 1960 siamo andati a rubare i portafogli nello spogliatoio delle nuotatrici. Ma ci hanno scoperto e ci hanno arrestato e mio padre poi mi ha messo in castigo per un mese».

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