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Spettacolo

Enrico Vanzina: “Totò? Ricordo sempre una sua frase. Il mio dolore più grande soprattutto uno”

Enrico Vanzina: “Totò? Ricordo sempre una sua frase. Il mio dolore più grande soprattutto uno”. Enrico Vanzina su Totò, Alberto Sordi e non solo, il regista e sceneggiatore considerato il re della commedia all’italiana, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Totò era un vicino di casa.
«Abitava a pochi passi da casa nostra, in via dei Monti Parioli — io però sono nato a piazza di Spagna — dove il nostro dirimpettaio era Mario Camerini. Nella vita era il principe De Curtis, che girava sulla Cadillac con le tendine. Papà è stato il regista di Totò per eccellenza. Si capivano, si piacevano. Un giorno sul set di Totò diabolicus (1962) lo vidi arrivare ancora vestito da donna. “Ah, quanto mi piace fare Totò”, esclamò».

[…] Quella sera con Renato Pozzetto però…
«Io e Carlo avevamo appena girato con lui Luna di miele in tre e Pozzetto ci teneva a conoscere Sordi. Li invitammo a cena. Renato arrivò per primo, ansioso. Alberto venne accompagnato da Piero Piccioni. Gli presentammo l’ospite. Lui lo guardò ridendo di cuore come rideva solo lui. “Ma tu chi sei, caro? Sei Cochi o sei Renato?” Nei film era esattamente come nella vita. Un giorno Andy Warhol gli chiese come facesse a cambiare sempre personaggio. “Una volta ho il cappello da vigile, una volta da pompiere o da cowboy, ma sotto ci sono sempre io”».

[…] Due predestinati, era scritto.
«Mamma Maria Teresa, figlia di un ferroviere, era bellissima, però il cinema non le interessava. Ci mandò al liceo francese Chateaubriand, il più esclusivo. Ci sognava ambasciatori, ci ritrovammo a Manziana a girare con Lando Buzzanca».

E in vacanza con Luca Cordero di Montezemolo, a Cortina.
«Finimmo presto i soldi e mi tornò utile aver studiato pianoforte, visto che mi ero innamorato di una dj del King’s. Mi proposi al titolare. Così, dall’una alle due di notte, suonavo Gino Paoli, Luigi Tenco, la paga bastava a mantenermi».

Enrico Vanzina: “Totò? Ricordo sempre una sua frase”

La prima sceneggiatura.
«In realtà sono due. Avevo appena scritto Luna di miele in tre, ad Alberto Lattuada era piaciuto molto, mi chiese di buttare giù quella di Oh Serafina! insieme a Giuseppe Berto. Un’occasione incredibile, in ritiro a Capo Vaticano con lui, avevo 25 anni».

[…] Il film del cuore, dei suoi?
«Direi Sapore di mare del 1983. Per il produttore Claudio Bonivento avevamo appena fatto I fichissimi con Diego Abatantuono e Jerry Calà, che era andato molto bene. Gli proponemmo questo, accettò, fu coraggioso. Un film molto personale, autobiografico, raccontava delle nostre estati a Castiglioncello. Quell’anno il David avrebbero dovuto assegnarlo a noi, ma in fondo, per quanto è stato amato, è come se lo avessimo vinto. Sono molto legato a Il cielo in una stanza, con Elio Germano, buffo, sentimentale. E considero Il pranzo della Domenica l’ultima vera commedia italiana».

[…] Con Carlo avete mai litigato per un film?
«No, perché avevamo ruoli distinti, io scrivevo di più e sul set andavo poco. E poi di solito io la pensavo come lui e lui come me».

L’ha sempre protetto.
«Ero il più alto, il maggiore, l’unica volta nella vita che ho litigato allo stadio è stato per difendere lui. Il mio dolore più grande è di non averlo potuto tenere al riparo dalla malattia e dalla sofferenza, ero convinto che me ne sarei andato prima io. Continuare da solo è difficile, però non posso mollare. Come nel menu di un ristorante c’è la specialità della casa, nel cinema dei Vanzina c’è il racconto della vita attraverso i nostri occhi, ora solo i miei. E penso: questo come l’avrebbe fatto Carlo? Come l’avrebbe girato papà? Sono sempre e comunque qui con me».

Enrico Vanzina: “Totò? Mio padre il suo regista per eccellenza”

Carlo Verdone, altro amico fraterno.
«Ci siamo conosciuti tardi, ma tra noi c’è un’amicizia meravigliosa. Il mio unico rimpianto è di non aver mai fatto un film con lui».

[…] E poi c’è Christian De Sica.
«I Vanzina e i De Sica sono sempre stati legatissimi, papà nutriva un affetto infinito per Vittorio e viceversa, tant’è che quando morì — e per un cortocircuito burocratico non riuscimmo a seppellirlo dove gli spettava — per qualche tempo fu ospitato nella loro cappella di famiglia. Ci piace immaginarli insieme in Paradiso, seduti al bar e circondati di ballerine anni Quaranta. Christian è un grandissimo talento, ho una passione sfrenata per lui come cantante».

Voi tre in gita a Venezia.
«Primi anni Ottanta. Partiamo io, Christian, Carlo e le nostre rispettive mogli, soggiorno all’hotel Excelsior. Io e Carlo scendiamo a prendere i lettini da sole, il bagnino ci viene incontro raccontandoci di aver conosciuto tanti attori famosi, prima di noi, Sordi, Gassman, Monica Vitti. “Eh, però sapeste che tirchiacci, non lasciavano mai la mancia, quante maledizioni gli ho mandato”. Da quel momento spendemmo un patrimonio in mance, perché non si sa mai…».

I critici storcevano il naso.
«All’inizio ci trattarono molto bene, poi il nostro successo ci attirò un pregiudizio ideologico. Abbiamo raccontato gli anni Ottanta come nessuno, l’epoca di Craxi, della Thatcher, di Berlusconi con le sue tv, ci accusavano di essere i loro cantori, invece prendevamo in giro un certo mondo, la Milano da bere di Yuppies e la Roma cafona di Vacanze di Natale. Adesso c’è la fase del culto esagerato, terrificante… di buono c’è che spesso ti permette di non pagare al bar».

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