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Gabriele Muccino: “Silvio? Mio fratello come un lutto, tra noi è finita. L’ultimo bacio? Parlava di me”

Gabriele Muccino: “Silvio? Mio fratello come un lutto, tra noi è finita. L’ultimo bacio? Parlava di me”. Gabriele Muccino su Silvio, il fratello attore con cui ha rotto ogni rapporto, e non solo, il regista 55enne si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] una pellicola con protagonista un ragazzo del 1967 con sogni più grandi delle sue insicurezze.
«All’epoca ero privo di grandi conferme e volevo affermare di esistere a un mondo che era abbastanza distratto. Balbettavo — molto più di oggi — e questa cosa distraeva: che si trattasse della persona che volevo affascinare o di una che volevo anche solo semplicemente intrattenere».

La balbuzie ha avuto un ruolo così determinante nel renderla la persona che è?
«Di fatto questa sorta di frustrazione nella comunicazione e nella socialità ha fatto in modo che creassi un mio osservatorio delle relazioni umane e della vita che è stato poi riutilizzato e riciclato nel mio modo di fare cinema. I piani tra realtà e vita ricostruita così si fondono. Ho schierate davanti a me tutte le declinazioni dell’animo umano, dalle più fosche alle più pure, e me ne faccio portatore sano. Ma mentre giro, poi, questo viaggio mi possiede totalmente».

Gabriele Muccino: “Silvio? Mio fratello come un lutto, tra noi è finita”

Nel restituire nei suoi film quello che ha osservato, finisce per raccontare sé stesso?
«Certo, mi metto io per primo a nudo in questa sorta di esposizione del sentimento e delle contraddizioni che in noi risiedono. Siamo governati da un subconscio che sceglie quasi tutto al posto nostro: quale colore ci piaccia o che persona ci attragga. Ci fa compiere insomma tutte quelle scelte che definiscono la nostra vita».

Un po’ come capita a Stefano Accorsi quando sconvolge la sua esistenza ne «L’ultimo bacio», il suo primo grande successo.
«Quel personaggio ero io, completamente. Dopo il mio primo film “Ecco fatto” e, soprattutto, dopo “Come te nessuno mai”, ero io a ritrovarmi in una storia che richiedeva delle responsabilità, improvvisamente circondato da tante Martina Stella. Quello che però non sapevo era che molte altre persone fossero simili a me. La mia unicità non era così straordinaria: ero solo più propenso a raccontare in maniera scarnificata i miei sentimenti e le mie zone d’ombra. Quel film scatenava un’esplosione emotiva nello spettatore che spesso litigava con il partner con cui era andato al cinema, perché scoprivi che uno la vedeva come Accorsi e l’altro come Mezzogiorno… ci sono persone che dopo averlo visto si sono lasciate e ancora oggi mi ringraziano della fuga che hanno compiuto. Per quanto mi riguarda, L’Ultimo bacio fu una sorta di tsunami».

Uno tsunami che trasformava un ex ragazzo introverso in una celebrità.
«Ero cresciuto in solitudine e stavo bene da solo, ma quando ho voluto cercare di misurarmi con il resto della società ho sentito che avevo delle lacune molto grandi, che non avevo idea di come riempire. A 14 anni non sapevo nemmeno chi fossero i Beatles: questo per dire quanto mi fossi alienato da solo da quella che era la realtà. Il cinema mi ha dato la possibilità di esistere, ovvero di portare quello che io sono alla fruizione degli altri. Il tasto più dolente della mia adolescenza era non riuscire a comunicare me stesso: mi impauriva, mi faceva sentire mediocre e profondamente irrisolto. Ho cercato di risolvermi e raccontarmi attraverso il cinema».

Gabriele Muccino: “Silvio? Mio fratello come un lutto”

È sempre stato così?
«È un meccanismo che si è ripetuto film dopo film. E sono riuscito a raccontare tantissimo di me, anche i traumi, i dispiaceri, i grandi disincanti, le delusioni. Ho usato il cinema come strumento per sciogliere quella che sarebbe stata un’esistenza implosa. Ho sfruttato la drammaturgia per dare ordine al caos della vita».

[…] Ora sta girando la seconda stagione di «A casa tutti bene» (disponibile su Sky e su Now). Con la prima stagione ha vinto il Nastro D’Argento per la miglior serie: è un territorio che vuole continuare a esplorare?
«L’esperienza con un racconto elaborato come quello della serie mi ha permesso di portare sul piccolo schermo il mio linguaggio, i miei personaggi e i loro codici di comportamento. L’ambizione di fare cinema in tv era una sfida per nulla scontata, che mi ha insegnato cose che ancora non conoscevo. Il linguaggio esteso della serie permette di analizzare le disfunzioni dell’animo umano con tempi meno compressi rispetto a quelli a cui ero abituato».

[…] Il rapporto con suo fratello Silvio sembra appartenga alla seconda categoria.
«Con lui ho vissuto un lutto, un lutto di una persona vivente, che non vedo dal 2007. È stata una esperienza per me aberrante da un punto di vista psicologico: mi ha scarnificato. Rimane una delle cose più incomprensibili, ingiustificabili e forse anche imperdonabili. A un certo punto quando questo lutto si è elaborato, quando ho smesso di soffrire, sono passati ormai 15 anni. Lì ti rendi conto che quella persona non la vuoi più incontrare, non hai più nulla da raccontare perché fondamentalmente non la stimi, non la ammiri e non la conosci più. Se mancano questi tre elementi, il resto cosa è? Forma?».

Non c’è la possibilità di un chiarimento?
«Quando tuo fratello scompare senza neanche dirti perché per una vita intera, il corpo soffre, soffri psicologicamente, ti svegli nel cuore della notte come se ti mancasse l’aria, perché hai voglia di tuo fratello. Era un pezzo di me. Mi ha tolto un parte enorme della mia vita e ora quella parte lì se ne è andata. La nostra difesa naturale nell’elaborazione delle sofferenze fa in modo che si crei uno spessore sulla cicatrice tale da far diventare quella cicatrice insensibile. È lì, la vedi ma è talmente spessa la carne che la riveste che siamo diventati insensibili, a dispetto di quello che vorremmo. Ma è fisiologico difendersi da un dolore così penetrante».

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