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Panatta: “Stop a numero 4? Non me ne frega nulla, il mio orgoglio è un altro. Tennis di oggi fa schifo per un aspetto”

Panatta: “Stop a numero 4? Non me ne frega nulla, il mio orgoglio è un altro. Tennis di oggi fa schifo per un aspetto”. Adriano Panatta e lo stop al numero 4, l’ex tennista si racconta ripercorrendo le tappe più significative della sua carriera in una intervista a “7” de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] C’era un po’ di orgoglio sociale, diciamo così, nelle vostre vittorie? L’orgoglio del figlio del custode che espugna uno sport un po’ classista?
«No, onestamente no. Non ho mai avuto voglia di rivincite sociali, perché non conosco l’invidia. Anche quando ero piccolino e abitavo dentro al Tennis Parioli e vedevo questi che arrivavano con le automobili, non ho mai avuto invidia, perché ero un bambino molto felice. E poi io al Parioli ci sono stato fino ai 9 anni, e non frequentavo il circolo. Stavo nella mia casa dietro il circolo, che era recintata. Avevo il mio muro dove giocavo a tennis tutto il giorno. Non giocavo con i soci, non mi ricordo di aver mai giocato con i soci».

Appunto. E questo non ha lasciato nessuna volontà di rivalsa, nulla?
«No, ti giuro: zero. Perché non mi mancava nulla. Poi successe che arrivarono le Olimpiadi a Roma, per cui il Circolo Tennis Parioli di viale Tiziano fu dismesso e il mio papà perse il lavoro. Fece domanda di un nuovo impiego al Coni e lo mandarono alle Tre Fontane, all’Eur, davanti al Luna Park, dove c’era il Centro Coni di tennis, e noi andammo ad abitare lì dentro. Capito? Di nuovo dentro un circolo. Ho vissuto per 18 anni dentro un impianto da tennis. Per cui non è che mi accorgevo che il tennis era d’élite. Io ci abitavo, nel tennis».

Panatta: “Tennis di oggi fa schifo per un aspetto”

[…] Poi c’è una cosa che dice Barazzutti e che ha toccato me. Lui era stato il numero 1 mondiale a livello juniores, aveva vinto l’Orange Bowl, e a un certo punto dice “Tra i professionisti ho fallito, sono arrivato solo al numero 7”. Cioè, lui ci aveva creduto, e quindi c’è questa nota malinconica perché non è mai diventato numero 1. Ce l’hai avuta pure tu questa delusione? Anche tu ci sei rimasto male a esserti fermato al numero 4?
«Non vorrei sembrare cinico però no, non me ne frega niente. La cosa di cui sono orgoglioso, ti dico la verità, è che nel ‘76 secondo me io sono stato il numero 1 al mondo sulla terra battuta, che è la superficie dove sono cresciuto. Aver dimostrato questo per me è più che sufficiente. Mi hanno sempre accusato che non mi allenavo abbastanza, ma non è vero. Anzi, non è che non sia vero, è proprio posta male la questione, perché se uno è qualcosa non può essere anche un’altra cosa. Io sono quella cosa lì, quello che si vedeva, io che vincevo e anche io che perdevo».

[…] antipatici, rosiconi? Qualcuno che era particolarmente piacevole battere?
«Connors. Connors quando l’ho battuto ho goduto tantissimo e ho sofferto tantissimo quando ho perso quel match a Flushing Meadows in cui stavo giocando così bene e ci stavo facendo un pensierino. Tu pensa che lui quel torneo l’ha vinto non perdendo mai un set: solamente con me ha vinto 7-5 al quinto».

Panatta: “Stop a numero 4? Non me ne frega nulla”

[…] Ti piace il tennis di adesso?
«Allora: se vedo giocare Federer, Nadal, Djokovic, Murray, anche Berrettini, sì. Tsitsispas. Shapovalov. Il loro tennis mi piace perché giocano bene, e anche gli altri – ci sono tanti che giocano bene no? Anche Alcaraz, che è diciamo il giocatore in questo momento più emergente, è uno che gioca un tennis vario, fa una palla corta, viene a rete. Sono quelli che giocano sempre uguale che non mi piacciono».

[…] Prima si stava zitti, si giocava vestiti di bianco, nessuno vociava, nessuno diceva “a-chi”. Ti piace il tennis di ora con queste urla da energumeni che quasi non si sente nemmeno la chiamata dell’arbitro?
«Mi fa schifo. Mi fa schifo, sul serio. Mi fa schifo».

Oh… Allora, potevi dirlo prima. Cioè uno salta la rete, dà una bella racchettata nel collo dell’avversario e gli dice “ Ora devi urlare!”. Dico bene?
«Adesso questo mi sembra un po’ esagerato, però potrebbe essere un’idea».

Vedi che smettono.
«No, ma quello non è colpa loro».

Glielo insegnano, lo so.
«Bravo. Si sono succedute tante metodologie di allenamento tra cui anche questa cazzata di “A-Chi!”, o comunque di gridare e di gemere a ogni singolo colpo che uno fa».

Panatta: “Stop a numero 4? Non me ne frega nulla, il mio orgoglio è un altro”

Bisognerebbe vietarlo.
«Il fatto è che lo fanno in tanti, per cui la Wta e l’Atp la concedono».

[…] Anche le canotte: Nadal, prima. Adesso Zverev.
«La canotta non si può guardare. Va bene per il basket, va bene per la pallavolo, ma nel tennis la canotta non si può guardare».

[…] Ai ragazzi di ora, diglielo, che non lo sanno: cos’era la Coppa Davis per un giocatore come te, forte, che girava il mondo e vedeva anche girare dei bei quattrini, per i suoi tempi?
«Era la cosa più importante. Tutto si fermava se uno giocava la Coppa Davis. Io nel ‘76 non ho giocato il Master. Dimmi tu, se oggi vinci uno Slam e un 1000, più il resto, al Masters ci vai no?». Di corsa. «Be’, io non ci andai, per fare la Coppa Davis. Si andava ad ambientarsi in India se si doveva giocare in India, oppure in Sudafrica, e ci si stava un mese, pensa, un mese. Immagina oggi dire a chiunque “Stai fermo un mese per giocare la Coppa Davis”. Questo ti risponde “Ma sei scemo?”. Però allora era così. Poi a un certo punto alcuni giocatori tipo Connors hanno cominciato a non giocare la Coppa Davis perché non la sentivano come la sentivamo noi. Uno che la coppa Davis l’ha sempre giocata è stato McEnroe. Mac alla Davis non ci rinunciava, ma era un fatto di cultura».

E quel torneino schizofrenico a squadre che giocano adesso, col secondo singolare che si disputa all’una di notte, e che chiamano Coppa Davis, c’entra qualcosa con quella che giocavi tu?
«Nulla. Quella non è la Coppa Davis, dai».

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