Nino Manfredi, il figlio Luca: “Papà attore ‘grazie’ alla tubercolosi. E quella lite con Ugo Tognazzi…”. Nino Manfredi, il figlio Luca, regista e sceneggiatore, 64 anni, parla del grande attore scomparso il 4 giugno del 2004, in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Che c’entra il sanatorio con la recitazione?
«Venne ricoverato a 15 anni all’ospedale Forlanini per la tubercolosi, dove restò rinchiuso tre anni. E proprio lì ebbe la possibilità di assistere per la prima volta a una rappresentazione teatrale: Vittorio De Sica offrì ai degenti uno spettacolo. Nino rimase molto sorpreso, tanto che quando finalmente venne dimesso, cominciò a realizzare spettacolini nel teatrino della parrocchia: si divertiva a interpretare ruoli femminili, gli venivano particolarmente bene. Lo notò un parrocchiano, l’attore Carlo Campanini, che lo spronò a coltivare la sua capacità espressiva».
Nino frequentava la parrocchia perché era molto religioso?
«Macché! Era molto scettico in materia però, mentre era al Forlanini cominciò a porsi delle domande sulla fede. Assisteva i suoi compagni di camerata che, pur essendo molto credenti e assidui frequentatori della chiesa, gli morivano tra le braccia: lui era l’unico sopravvissuto, l’unico miracolato e il dubbio sulla credenza religiosa lo ha accompagnato per il resto della sua vita. Parecchi anni dopo, non a caso, interpretò Per grazia ricevuta, con cui vinse la Palma d’Oro a Cannes».
Nino Manfredi, il figlio Luca: “Papà attore ‘grazie’ alla tubercolosi”
Dal sanatorio come approdò all’Accademia d’arte drammatica?
«Per caso. Frequentava l’università, perché suo padre voleva assolutamente che si laureasse in Legge. Un suo amico gli propose di accompagnarlo alla Silvio D’Amico, per informazioni sull’iscrizione. Nino scopre con stupore che esisteva una scuola per imparare il mestiere d’attore: pensava che la recitazione fosse un hobby, non un lavoro. Fece domanda di ammissione e superò l’esame: dai compagni veniva soprannominato il Ciociaro, per la forte cadenza burina e il carattere caparbio. Mantenne fede al patto con suo padre, laureandosi, e si diplomò all’Accademia. D’Amico gli disse che aveva una naturale vocazione per l’ironia: la satira poteva diventare il suo punto di forza. Un altro punto di forza era il suo rigore da perfezionista, grazie agli insegnamenti del maestro Orazio Costa».
[…] Che rapporto aveva con i colleghi italiani?
«Gande amico di Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e soprattutto di Vittorio Gassman, che aveva conosciuto in Accademia e che per primo lo coinvolse in uno spettacolo con la Compagnia di Evi Maltagliati. Alle prime prove, mio padre era talmente emozionato che non riusciva a proferire parola. Nel grande imbarazzo per tutti Evi si rivolse incavolata a Vittorio: mi hai portato un attore muto? Gassman lo difese strenuamente, rispondendo: diamogli un’altra possibilità… e così fu. Negli anni seguenti, erano in tournée insieme, ma Nino si ammala, febbre a 40, e una sera non voleva fare lo spettacolo: “Ho vuoti di memoria!” ripeteva a Vittorio, che ribatteva: “Non preoccuparti, ti do una mano io, se hai un vuoto lo riempio in qualche modo”. E lo aiuta talmente tanto, troppo, che ogni volta che Nino stava per aprire la bocca per recitare una sua battuta, Vittorio lo anticipava, temendo il vuoto. A sipario chiuso, papà gli disse: “A Vitto’, va bene che mi volevi aiuta’, ma almeno una battuta me la potevi fa’ di’!”».
Nino Manfredi, il figlio Luca: “Quella lite con Ugo Tognazzi…”
E i colleghi con cui non andava d’accordo?
«Con Ugo Tognazzi ebbe una frattura, durata qualche anno. Stavano girando insieme un film e, mentre Nino era il rigore fatta persona, studiava scrupolosamente il copione, era sempre puntualissimo sul set, Ugo invece, come si sa, era uno che la sera amava fare baldoria con gli amici: feste, cene, bevute… Una mattina si presenta sul set in uno stato talmente confusionale che non si ricordava nemmeno che film stessero facendo. Mio padre, non essendo diplomatico, esplode e dice al produttore: «Adesso io vado nella mia roulotte e quando questo cialtrone avrà studiato le scene, mi chiamate» e sparisce. Anche Ugo si arrabbiò moltissimo, ma ovviamente aveva ragione Nino: il lavoro va rispettato».
[…] Che padre era?
«Assente, sempre occupato sui set. Quando era a casa, si chiudeva nel suo studio con gli sceneggiatori. Il merito di portare avanti la famiglia è di mia madre Erminia, che ha sopportato e perdonato le sue varie “scappatelle”: ne ha fatte di cotte e di crude».
Severo?
«Parecchio. Da ragazzino mi rifugiai su un albero in giardino, perché voleva costringermi a mangiare le lumache, che mi fanno schifo. Abbiamo recuperato il rapporto in seguito, cominciando la lavorare insieme».
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