Home » Pupi Avati: “Io povero dopo 60 anni di Cinema. Una bomba a orologeria sta per esplodere in Italia”
Cinema Gossip Spettacolo

Pupi Avati: “Io povero dopo 60 anni di Cinema. Una bomba a orologeria sta per esplodere in Italia”

Pupi Avati: “Io povero dopo 60 anni di Cinema. Una bomba a orologeria sta per esplodere in Italia”. Pupi Avati povero dopo quasi 60 anni di Cinema, la situazione delle sale in Italia, e non solo, il regista bolognese, 86 anni, parla a tutto tondo in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Il regista esordisce con una dichiarazione forte e allarmante sulla situazione del Cinema in Italia: «Abbiamo un problema molto serio, una bomba a orologeria che sta per esplodere». E precisa subito il tema della conversazione: «Il cinema italiano. Non è la solita boutade, siamo davvero a un passo dal baratro. Anzi, ci siamo già dentro».

A chi gli chiede di spiegarsi meglio, l’intervistato propone un esercizio immaginativo: «Chiuda gli occhi e immagini un produttore cinematografico italiano, uno di quelli che considera ricco sfondato, senza ovviamente farmi il nome. Fatto?». Poi aggiunge: «Ecco, anche lui non dorme sonni tranquilli. Sta per finire tutto».

Dopo quasi sessant’anni di carriera nel cinema, ci si aspetterebbe che abbia accumulato una grande ricchezza, ma lui smentisce categoricamente: «Macché, sono povero. Se fossi rimasto a vendere surgelati sì, a quest’ora sarei milionario». La conversazione avviene in una splendida casa romana, vicina a piazza di Spagna, che da sola potrebbe valere una fortuna. Tuttavia, chiarisce subito un possibile equivoco: «Altolà. Ci vivo da cinquantacinque anni ma non è mia, sono in affitto».

Pupi Avati: “Una bomba a orologeria sta per esplodere in Italia”

Alla domanda sul motivo per cui non abbia mai acquistato l’immobile, risponde in modo netto: «Perché non ho i soldi». Racconta di un’epoca passata in cui le banche finanziavano generosamente il cinema italiano: «Ci sono stati anni in cui ne ho avuti, anni in cui le banche elargivano così tanto credito al cinema italiano che mio fratello Antonio (da sempre il suo produttore, oltre che sceneggiatore, ndr) girava con la carta in titanio dell’American Express. Con quella potevi alzare il telefono e prenotare un volo per l’Australia con la cena nel miglior ristorante di Sidney appena atterrato, senza neanche arrivare a domandarti quanto avessi sul conto. I soldi giravano, punto. Ora a stento c’è il bancomat. Le cifre di cui si parla sottovoce fanno paura».

La colpa è la fine del tax credit, imposta dal governo Meloni? La sua risposta va oltre la semplice questione economica: «Il governo non può permettersi il lusso di lasciar morire il cinema perché erroneamente lo considera una cosa fatta da gente di sinistra e destinata a elettori di sinistra. Sarebbe uno sbaglio madornale. Com’è noto ho sempre votato al centro, spesso per Forza Italia; ma questo non ha mai rappresentato un pregiudizio che mi impedisse di apprezzare o di non apprezzare i miei colleghi a seconda della loro appartenenza politica. Ci sono registi e produttori straordinari anche oggi, sono patrimonio del Paese. È il loro coinvolgimento che ci occorre se vogliamo far rinascere il cinema italiano; il governo e l’opposizione ci dedichino un momento del loro tempo prezioso immaginando una rinascita del nostro cinema. Che oggi è fermo, immobile: due anni fa, se cercavi un macchinista, non lo trovavi neanche pagandolo a peso d’oro; oggi di macchinisti ne trovi quanti ne vuoi, non sta lavorando nessuno».

Pupi Avati: “Io povero dopo 60 anni di Cinema”

Ma qual è la sua idea per risollevare il settore? «Detto col massimo rispetto della presidente Giorgia Meloni e del ministro Alessandro Giuli, c’è bisogno di togliere delle competenze dal ministero della Cultura e creare un ministero ad hoc per il cinema, gli audiovisivi e la cultura digitale».

Quando gli viene fatto notare che esiste già un ministero della Cultura, spiega perché lo considera insufficiente: «Il cinema, inteso come film o come serie televisiva o in qualunque forma si vada proponendo, viene già fruito nei modi più difformi. Il suo presente è estremamente complesso e lo diverrà sempre più. Non può esistere un ministero che contemporaneamente si occupi di Uffizi e di Netflix perché sono cose troppo diverse. Meritiamo un ministero! Se lo si è fatto separando la scuola dall’università, mi sembra sia giunta l’ora di separare la produzione di un film o di una serie dalle celebrazioni dei duemilacinquecento anni di Napoli. Ne ho parlato con molti autorevoli colleghi trovando in loro quell’incoraggiamento che mi occorreva per lanciare questo appello».

Alla domanda su cosa bisognerebbe fare concretamente, suggerisce di prendere esempio dalla Francia: «Iniziare a guardare a quello che fanno per esempio in Francia, dove il Centre national du cinéma et de l’image animée sostiene l’economia cinematografica, audiovisiva e multimediale, promuove prodotti, tutela il patrimonio».

Pupi Avati: “Così può risollevarsi il Cinema”

In Italia, però, esiste già la Direzione generale Cinema e audiovisivo. Il regista riconosce il valore del suo attuale responsabile: «Là c’è Nicola Borrelli, professionista bravissimo: fa un ottimo lavoro e, nell’eventualità venisse accolta la proposta, sarebbe una risorsa». Tuttavia, evidenzia il problema principale: «Ma abbiamo prodotto e sostenuto troppi film, tutti a budget altissimo, che spesso non ha visto nessuno. Col cambio del tax credit e questa fase di incertezza, in molti sono paralizzati da debiti e paura».

Ma come si potrebbe ripartire? «Meloni non abbia paura del cinema e non tema che sia fatto solo da gente di sinistra e per gente di sinistra perché non è così. Insieme all’opposizione, lavorino tutti per rendere possibile che una commissione composta da veri esperti del settore verifichi la fattibilità di questo nuovo ministero e si riparta daccapo. Per esempio, incoraggiando con i finanziamenti pubblici e il tax credit quelle produzioni a basso costo che possono dare grandi soddisfazioni, in sala e anche nel mercato internazionale. Basti guardare a Vermiglio o a Il ragazzo con i pantaloni rosa, costati pochissimo, che hanno portato risultati economici e di prestigio. Non c’è bisogno di grandi soldi per fare un ottimo prodotto. Anzi, spesso, con meno si fa meglio. I miei film di maggiore successo li ho fatti con due lire. Quando ho avuto a disposizione grandi budget, ho fatto grandi disastri».

Richiesto di un esempio, cita: «I cavalieri che fecero l’impresa, nel 2001, i nostri guai sono cominciati là. Le ripeto: con meno soldi lavoro meglio. Ma non vale solo per me, attenzione. Spesso il grande cinema è venuto fuori in contesti di grande semplicità. Pensi a Pasolini».

Pupi Avati: “Pasolini? Andavo a trovarlo nella casa modesta di via Eufrate”

Ricorda il periodo in cui collaborò con Pasolini alla sceneggiatura di Salò o le 120 giornate di Sodoma: «Andavo a trovarlo nella casa di via Eufrate 9, all’Eur. Una casa di una modestia incredibile, se pensa che ci abitava il più eclettico tra gli intellettuali italiani; e non agli inizi, bensì al massimo della sua carriera. Noi scrivevamo queste scene terribili, provando a codificare l’uomo al suo livello più basso, violenza e morte senza soluzione di continuità; e la mamma di Pier Paolo bussava alla porta per chiedere come volesse le melanzane, se fritte o arrosto. Ci volevamo bene».

E specifica: «Con entrambi. Pasolini mi fece un regalo incredibile, in quel periodo. Alla prima proiezione de Il fiore delle Mille e una notte mi chiese di star accanto alla mamma, che viveva quei momenti con grande apprensione. Prima che le luci in sala si abbassassero, mi prese la mano, la strinse e disse a voce bassissima e quasi tremante: “Speriamo che sia bello il film di Pier Paolo”. Stette quasi tutto il tempo con la sua mano nella mia e si rilassò solo dopo i titoli di coda. “È bello, è bello il film di Pier Paolo”».

Alla fine, riflette su ciò che avrebbe perso se fosse rimasto nel commercio di surgelati: «A quest’ora sarei ricco, probabilmente vivrei una qualche esistenza imbalsamata senz’altro fuori dall’Italia. Però…». E conclude: «Mi è andata benissimo così. Ora voglio che il cinema italiano si salvi. È per questo che sto provando a mettere tutti insieme, andando al di là degli steccati della politica; ci servono film di qualità anche perché non abbiamo lo star system degli Stati Uniti, dove ancora è sufficiente chiamare una certa attrice o un certo attore perché il film trovi i finanziamenti».

Seguici anche su Facebook. Clicca qui

Loading...
Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com