Vivere nei quartieri ghettizzati aumenta il rischio di cancro: la percentuale shock. Vivere nei quartieri ghettizzati aumenta il rischio di cancro. Bambini, adolescenti e giovani adulti hanno una probabilità maggiore di ammalarsi e morire se crescono in quartieri che, in passato, sono stati soggetti a pratiche discriminatorie in ambito abitativo. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Cancer
La ricerca ha rivelato che i giovani malati di cancro residenti in zone precedentemente escluse dall’accesso equo ai mutui e ai finanziamenti abitativi presentano un rischio di morte superiore del 62%. Anche considerando altri fattori socio-economici, il rischio di mortalità per cancro rimane comunque più alto del 32% rispetto a quello di chi cresce in aree prive di questo tipo di discriminazione.
Secondo la dottoressa Kristine Karvonen, ematologa e oncologa pediatrica presso il Fred Hutchinson Cancer Center di Seattle e principale autrice dello studio, la ricerca evidenzia come il razzismo sistemico possa essere un fattore determinante nella prognosi dei giovani malati di cancro.
Il ruolo del redlining
La pratica del redlining, attuata negli Stati Uniti tra gli anni venti e trenta, consisteva nella classificazione di alcuni quartieri come ad alto rischio per l’erogazione di prestiti sulla base della loro composizione razziale. Queste aree venivano letteralmente segnate in rosso sulle mappe bancarie, impedendo di fatto alle persone di colore di accedere a mutui e finanziamenti per l’acquisto di case, con conseguenze di lungo termine sulla segregazione e sullo svantaggio economico delle comunità coinvolte.
Sebbene le leggi sulla riforma abitativa degli anni sessanta e settanta abbiano reso illegale questa pratica, gli effetti della discriminazione si sono protratti per decenni. Ricerche precedenti avevano già collegato il redlining a un aumento della mortalità per cancro negli adulti, ma questo è il primo studio a indagare l’impatto di questa eredità discriminatoria sui giovani malati di cancro.
Analizzando i dati di oltre quattromilatrecento persone sotto i quarant’anni a cui era stato diagnosticato un tumore nelle città di Seattle e Tacoma, nello Stato di Washington, i ricercatori hanno scoperto che il tasso di sopravvivenza a cinque anni dei giovani provenienti da quartieri storicamente esclusi era dell’85%, contro oltre il 90% di quelli cresciuti in zone senza tali restrizioni. A dieci anni dalla diagnosi, la sopravvivenza era dell’81% per i primi, rispetto all’88% per i secondi.
I dati
“I nostri risultati confermano quanto già emerso in ricerche precedenti: vivere in un’area segnata in rosso quasi un secolo fa è ancora oggi associato a esiti peggiori per i malati di cancro. Questo studio dimostra che anche i giovani rientrano tra le categorie a rischio”, ha spiegato la dottoressa Karvonen.
Il passo successivo della ricerca sarà indagare i meccanismi attraverso cui le discriminazioni storiche continuano a influenzare il rischio di cancro e la sopravvivenza dei pazienti. Comprendere questi legami permetterà di sviluppare strategie per migliorare la prevenzione e il trattamento del cancro nelle comunità più colpite.
Sebbene questo studio sia basato su dati statunitensi, le sue implicazioni sono rilevanti anche per altri Paesi, compresa l’Italia e l’Europa. Le disuguaglianze socio-economiche e le discriminazioni abitative, infatti, possono avere effetti a lungo termine sulla salute delle persone, influenzando l’accesso alle cure, la qualità dell’ambiente in cui si vive e, di conseguenza, le possibilità di sopravvivenza in caso di malattie gravi come il cancro.
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