Bruno Longhi: “Inter? Ci ho giocati 2 anni poi cominciai a suonare. Giornalista dopo ultimatum di mio padre”. Bruno Longhi, sull’Inter, gli anni nel Calcio e nella musica prima di ‘impugnare’ la penna, il giornalista sportivo, 77 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Quando parla di musica, il suo sguardo si illumina. «È un qualcosa che hai nell’anima. Ho iniziato a suonare il basso non ancora diciassettenne. I Trappers, i 4 Satelliti, poi Flora Fauna & Cemento, tanti gruppi con cui mi pagavo gli studi».
La sua passione per la musica lo ha portato a incrociare il destino di grandi artisti, come Lucio Battisti, che abitava a soli 300 metri da lui. «Con Mario Lavezzi e Sergio Poggi facevo parte della sua stessa casa discografica, la Numero 1. Avevamo un rapporto molto forte, per un anno abbiamo bevuto il caffè alla solita ora e al solito bar. Pagavo io, diciamo che Lucio era molto trattenuto nell’esposizione monetaria… Si incuriosiva alla mia vita. Una volta si chiuse con me in una stanza affinché gli raccontassi del militare che lui non aveva fatto».
Bruno Longhi: “Giornalista dopo ultimatum di mio padre”
Nonostante il legame, Battisti era noto per non amare essere disturbato. «Per parlarci al telefono gli amici più stretti dovevano digitare il numero tre volte. Al quarto trillo rispondeva, era un modo per evitare gli scocciatori. Nel 1970 partecipai a Canzonissima con “Azzurra”. Little Tony ci mise la voce, io la musica, Mogol il testo. C’era una parte che non mi convinceva: “Chiama Lucio”, mi disse quest’ultimo. Da una parte io con la chitarra, dall’altra lui che mi consigliava quali accordi inserire».
Non sempre, però, il suo giudizio musicale era incoraggiante. «Si era inserita nel nostro gruppo. Impazziva per Carole King, una cantautrice americana. Suonava bene, ma era squadrata. In poche parole, andava per i fatti suoi. Le dissi che forse non sarebbe stata quella la sua strada. Molti anni dopo ci siamo ritrovati in una radio privata e me lo ha rinfacciato bonariamente».
Bruno Longhi: “Inter? Ci ho giocati 2 anni”
Dalla musica al giornalismo, il percorso è stato tutt’altro che lineare. Prima ancora, infatti, è stato calciatore nell’Inter. «Ci ho giocato per due anni, a 11 l’“esordio” a San Siro. Facevo infuriare gli allenatori, ero la classica mezzapunta che cercava il tunnel, perdeva il pallone e non rincorreva l’avversario. Poi mi ammalai per un anno, tre bronchiti di fila. Ricominciai dalla Solbiatese, ma avevo cominciato a suonare in un locale. Non avevo la macchina, arrivavo a casa alle 3 di notte e la mattina dopo sveglia alle 7 per andare a giocare: “Di Pelè ce n’è stato uno solo, lasciamo perdere”, mi dissi».
A quel punto, la svolta verso il giornalismo arrivò quasi per caso. «Mio padre mi dà un ultimatum: “Basta con la musica”. Avevo dimestichezza con le lingue, inizio a lavorare in Borsa. Ma dovevo dire sempre le stesse cose, mi annoiavo. Quindi aggiungo una collaborazione serale con Nova Radio, dovevo occuparmi delle scalette musicali: “E di calcio non fate niente?”, chiesi. Mi inventai una trasmissione con i tifosi, coinvolgendo alcuni ex compagni dell’Inter, da Oriali a Bordon. Mi nota il capo redattore del Corriere d’Informazione. No, il mio futuro non era in Borsa».
L’incontro con Silvio Berlusconi avvenne in modo del tutto inaspettato. «Piero Dardanello, allora capo dello sport al Corriere d’Informazione, doveva realizzare per lui un’intervista a Liedholm in vista di Juve-Milan. Ebbe un imprevisto: “Puoi andare tu?”, mi chiese. Vado a Milanello, la faccio. Mi telefona un uomo di Berlusconi dal fortissimo accento milanese: “La vuole conoscere”. Non sapevo neanche chi fosse: “Ma come? Quello di Edilnord, Milano 2… un grande manager”. “Senta — risposi io — se mi chiede di Mazzola è un conto, ma questo Berlusconi non so proprio chi sia”».
Bruno Longhi: “Maradona mi fece volare. Giornalista dopo ultimatum di mio padre”
Nonostante la sua iniziale perplessità, finì per firmare un contratto importante. «Mi ero spostato su Telemontecarlo per commentare i Mondiali messicani. Quando nell’88 Mediaset mi richiamò, mia moglie mi disse: “Cosa vuoi, 100? Allora chiedilo e ti verrà dato. Non ti sei proposto tu, ti hanno voluto loro”. Fui subito accontentato. Ripensandoci avrei potuto chiedere anche 150…».
La sua carriera lo ha portato a ricevere riconoscimenti anche da grandissimi campioni, come Diego Maradona. «Nel 1996 riceve il Pallone d’oro alla carriera. La cerimonia si tiene all’ultimo piano del palazzo di France Football, a Parigi. In diretta con una radio argentina si lascia andare: “Sono qui con i più grandi giornalisti del mondo, Gianni Minà e Bruno Longhi”. Mi ha fatto volare sopra le nuvole».
E gli episodi curiosi non sono mancati, come quello con Zico. «Stavamo tornando da Cremona, dove aveva partecipato all’addio al calcio di Cabrini. Eravamo in macchina con le rispettive mogli, erano le 2 di notte. Ci ferma la polizia, gli agenti si avvicinano al finestrino e ci puntano la torcia addosso. Uno di loro lo riconosce: “Potete andare”, ci disse. Zico, ironico, finse stupore: “Ma sei proprio famoso tu eh”».
Se c’è un rimpianto, è legato proprio alla musica. «Solo uno, la musica. Ho scritto qualche canzone che poteva avere maggiore successo. Mi sarebbe piaciuto un brano da tramandare ai posteri, quello che canticchi per strada e dici: “Ah, non era male”. Ho 77 anni, ma alla fine non è mai troppo tardi…».
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