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Raffaele Curi: “Fellini mi prese grazie a una sensitiva ma poi si vendicò. Re Carlo? Gli ho scritto un messaggio quando è salito al trono”

Raffaele Curi: “Fellini mi prese grazie a una sensitiva ma poi si vendicò. Re Carlo? Gli ho scritto un messaggio quando è salito al trono”. Raffaele Curi su Fellini, e non solo, l’attore è regista marchigiano, 76 anni, oggi direttore creativo della Fondazione Alda Fendi, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Raffaele Curi racconta la sua storia partendo dalle sue origini nelle Marche. «Dalle Marche. Studi dai salesiani. Famiglia borghese: non pane e caviale ma nemmeno pane e cipolla. Quando morì mio padre, la situazione economica peggiorò di brutto. Visto che avevo uno zio medico, che aveva messo su una clinica, mia mamma mi spinse a iscrivermi a Medicina».

Obbedì alla volontà materna, ma l’esperienza all’università di Perugia si rivelò difficile. «A Perugia mi sentivo perso. Non capivo nulla di medicina, pensavo che la mia vita fosse finita. Presi la decisione di andare a Roma e di provare l’Accademia di arte drammatica». La sua carriera sembrava pronta a decollare dopo il successo de Il giardino dei Finzi-Contini, che vinse l’Oscar. «Fui l’ultimo italiano a essere messo sotto contratto dalla Metro-Goldwin-Mayer».

Tuttavia, questo non significò ricchezza immediata. «Macché. Mi presero a recitare in un film che si chiamava La muerte incierta. Doveva essere un successo mondiale, ebbe fortuna solo in Messico; infatti mi arrivavano quintali di lettere di messicani. Giravamo negli studios di Barcellona, nel teatro accanto facevano un film con Gregory Peck. Cercavo un padre in chiunque, persino in lui». Ebbe anche l’occasione di cenare con Peck: «Qualche volta abbiamo cenato assieme».

Raffaele Curi: “Fellini mi prese grazie a una sensitiva ma poi si vendicò”

Il suo ingresso nel mondo di Fellini avvenne in modo singolare, grazie alla sensitiva Pasqualina Pezzola. «Era del mio paese, Civitanova Marche. Analfabeta, era in grado di toccare una persona e di fargli le analisi del sangue». Spiega meglio questa capacità straordinaria: «Ti toccava e diceva trigliceridi, colesterolo, globuli bianchi, con i valori precisi al millimetro. E il bello è che non sapeva neanche che cosa fossero i trigliceridi. Ma diceva la parola esatta, come per magia. Una sensitiva, insomma. Pensi che mio zio medico se ne serviva per fare le prime diagnosi ai suoi pazienti». Fellini la teneva in grande considerazione, «forse anche più di Gustavo Rol».

Fu proprio Pezzola a intercedere per lui. «Gli telefonò. “Federi’, c’è questo mio amico Raffaellino, vuole lavorare nel tuo film”. Fellini, che avrebbe mandato a quel paese persino il presidente della Repubblica se avesse osato fargli una raccomandazione, a Pasqualina obbedì e mi prese per Casanova. Poi però si vendicò».

La vendetta arrivò sul set, dopo il fallimento del produttore italiano e la ripresa delle riprese con una nuova produzione americana. «Alla ripresa, al Teatro 5, c’era chiunque. Compresa Ava Gardner, che stava girando Cassandra Crossing a Cinecittà. La prima scena era la mia, che interpretavo insieme a Renato Zero uno che stava nella corte di Gutenberg. Insomma, nel ciak c’eravamo io, sudatissimo ed emozionato, Donald Sutherland e Leda Lojodice, la bambola meccanica. Avevo uno spadino, col quale ruppi per errore il costume di coralli realizzato da Danilo Donati. Non riuscivo a dire bene la battuta, Fellini mi chiese di contare. L’umiliazione massima, segno che mi avrebbe doppiato». L’episodio si concluse con una frase ironica del regista. «Dove hai studiato?, chiese Fellini davanti a tutti. All’Accademia, risposi io. E si vedeeeeee!, chiosò».

Raffaele Curi: “Man Ray? Lavorai gratis per lui e mi premiò”

Un altro incontro straordinario avvenne con Man Ray, grazie a una serie di coincidenze legate al cinema. «L’appartamento in cui giravamo a Torino Un uomo, una città era di Luciano Anselmino, amico di Warhol, il più grande mercante d’arte pop del periodo. Diventai amico suo e anche di Carol Rama». Fu Anselmino a proporgli di lavorare con Man Ray: «Mi telefonò per dirmi se volevo fare il modello per uno dei mitici mini film di Man Ray, in quella che sarebbe stata la sua ultima esposizione, L’occhio e il suo doppio, a Roma. Accettai. Al Grand Hotel, dove si girava, trovai Man Ray, la moglie Juliet e Luis Buñuel. Pensi che emozione».

Quando gli chiesero quanto volesse essere pagato, lui rispose con modestia: «Mi sarei accontentato di un autografo di Man Ray sul catalogo della mostra. E venni premiato». Infatti, Man Ray lo invitò a cena e gli offrì un’opportunità unica: «Finii per passare due mesi indimenticabili accanto a lui. Certe sere si faceva portare su una sedia a rotelle, altre volte aveva il bastone, la verità è che camminava benissimo: voleva semplicemente che lo scambiassero per un infermo, era surrealismo anche questo».

Raffaele Curi: “Re Carlo? Gli ho scritto un messaggio quando è salito al trono”

Un aneddoto curioso riguarda le serate al ristorante La Parolaccia: «Amava andare a mangiare lì solo per gustarsi la scena dei camerieri che insultavano Carol Rama, ormai anziana. A befanaaaa!, le urlavano. E Man Ray godeva». Il sindaco di Roma, Clelio Darida, gli diede le chiavi della città e gli fece avere un dipinto di Giorgio De Chirico. Ma il rapporto tra surrealisti e metafisici non era dei migliori: «Man Ray mi diede il De Chirico appena ricevuto in omaggio ordinandomi di strapparlo e buttarlo nel water del bagno del Grand Hotel. Lo appallottolai, lo consegnai alla reception e passai a prendermelo il giorno dopo».

Per vent’anni fu una figura di spicco al Festival dei Due Mondi di Spoleto, collaborando con Gian Carlo Menotti. «Lanciò chiunque: Al Pacino, Kathy Bates, Tomas Milian. Fece conoscere all’Italia il teatro di Tennessee Williams ma non ospitò mai Samuel Beckett. Gli chiesi il perché e mi rispose: Non mi fare mai più questa domanda». Tra le persone incontrate in quegli anni ci fu anche Carlo d’Inghilterra. «In quei vent’anni ho conosciuto chiunque, compreso Carlo d’Inghilterra, di cui sono diventato molto amico e che poi sono andato a trovare anche in Scozia. Ho anche il numero telefono: gli ho scritto un messaggio quando è diventato re», ma non gli ha mai risposto.

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