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Paolo Villaggio, il figlio: “L’ho visto felice quando ho smesso di drogarmi. A lui rimprovero solo una cosa”

Paolo Villaggio, il figlio: “L’ho visto felice quando ho smesso di drogarmi. A lui rimprovero solo una cosa”. Paolo Villaggio, il figlio Piero, 62 anni, hair stylist per il cinema, che in passato ha avuto problemi di tossicodipendenza, racconta il suo rapporto col padre in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Piero Villaggio racconta che tutti lo hanno sempre chiamato “il figlio di Fantozzi”. Per questo motivo, tra i personaggi interpretati dal padre, sente più vicino proprio Fantozzi: “Siamo cresciuti insieme“. Quando gli viene chiesto quale sia il suo film preferito, risponde senza esitazione: “In assoluto, Il segreto del bosco vecchio, di Ermanno Olmi. Perché ho potuto apprezzare davvero le doti di attore di mio padre”.

Tra i primi ricordi che ha con lui, ce n’è uno legato al calcio: “Ho dei ricordi bellissimi di quando andavamo insieme allo stadio a vedere la Lazio, che tifavo io: lui è sempre stato della Samp”. Parlando del rapporto che l’attore aveva con lui e sua sorella con, ammette che suo padre è stato molto generoso: “Con me troppo. Forse gli rimprovero di avermi viziato, anche se ai tempi mi guardavo bene dal protestare”.

A questo proposito, racconta alcuni episodi che lo dimostrano: “Alle medie mi bocciarono e lui, che stava girando un film in Brasile, mi comprò un biglietto in prima classe per raggiungerlo. Oppure facevo l’album delle figurine, come tutti i bambini italiani, e lui due volte mi portò in edicola e comprò tutte le figurine che c’erano, togliendomi così il gusto di completarlo. Crescendo, i regali sono diventati più grandi. Se gli chiedevo una macchina, mica un libro, lui me la comprava subito“.

Paolo Villaggio, il figlio: “A lui rimprovero solo una cosa”

Ammette di aver fatto molto preoccupare suo padre, ma di non esserne stato consapevole in quel momento: “Sì, anche se in quegli anni non mi rendevo conto: la mia preoccupazione era un’altra”. Tuttavia, riconosce al padre di non essersi mai vergognato di lui: “Gli riconosco di non essersi vergognato di me, di non avermi nascosto. Per alcuni, anzi, si è esposto fin troppo”. Alla domanda su cosa pensi oggi di suo padre, risponde con fermezza: “Sono orgoglioso di tutto quello che ha fatto, compreso schierarsi con Muccioli”.

Nella sua autobiografia del 2016, “Non mi sono fatto mancare niente”, prende però le distanze da alcuni metodi del fondatore di San Patrignano: “Sono stato lì per tre anni. Se devo fare un bilancio, alla fine è stata un’esperienza positiva perché io ne sono uscito. Pur non essendo sempre d’accordo con i suoi metodi, Muccioli ha dato una risposta a tante famiglie. All’entrata della comunità c’era un gabbiotto dove sostavano mamme disperate che volevano far entrare i figli“.

Racconta poi come suo padre sia riuscito a portarlo a San Patrignano: “Con un’interpretazione da Oscar”. All’epoca viveva a Los Angeles e aveva già frequentato senza successo due cliniche di disintossicazione in Svizzera e altrettante in California. “Venne a prendermi con mia madre, per tornare in Italia, e al rientro ci fermammo a Parigi. Poi da lì andammo a Venezia, dove mi portò a mangiare all’Harry’s Bar, che adoravo. Dopodiché noleggiò un’auto, e questo avrebbe dovuto insospettirmi. Quando arrivammo in comunità mi arrabbiai molto. Però ho scelto io di restare”.

Paolo Villaggio, il figlio: “L’ho visto felice quando ho smesso di drogarmi”

Uno dei momenti più drammatici della sua vita è stata la morte per overdose della sua fidanzata di allora, Maria Beatrice Ferri, nel 1983. “Anche allora mio padre non mi ha voltato le spalle. Quando lo chiamai per dirgli che avevo trovata morta Bea lui non capì subito cosa gli stavo dicendo, pensava a una sua amica che si chiamava come lei. I suoi genitori non mi hanno mai colpevolizzato“.

Si è mai chiesto se con un altro padre avrebbe evitato la tossicodipendenza? La risposta è chiara: “Sì, ma mi sono risposto che sarebbe successo lo stesso. La tossicodipendenza è una malattia, come lo è stato per mio padre il diabete, che poi lo ha ucciso”.

Nonostante questo, non è mai riuscito a rimproverargli di non essersi curato: “Non sono mai riuscito a colpevolizzarlo, proprio perché so cosa sia una dipendenza“. Anzi, confessa che in alcune situazioni gli è stato persino complice: “Purtroppo talvolta gli sono stato complice, quando ormai era in sedia a rotelle e chiedeva a me di portarlo in giro nei negozi dove c’erano i prodotti di cui era goloso. Mai dolci“. Infine, alla domanda su quando abbia visto suo padre più felice, risponde senza esitazione: “Quando ho smesso di drogarmi“.

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