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Valeria Bruni Tedeschi: “In L’attachement ho lavorato con frustrazione. Femminismo? La lotta va fatta con gli uomini, non contro”

Valeria Bruni Tedeschi: “In L’attachement ho lavorato con frustrazione. Femminismo? La lotta va fatta con gli uomini, non contro”. Valeria Bruni Tedeschi su L’attachement, l’attrice italiana naturalizzata francese, 60 anni, è tra i protagonisti del film diretto da Carine Tardieu. Ne parla in una intervista a ‘Io Donna’ della quale vi proponiamo alcuni passaggi.

Valeria si trova a interpretare un personaggio molto diverso da quelli a cui è abituata. Sandra è una donna trattenuta, rigida, eppure il pubblico non può fare a meno di immedesimarsi in lei. L’attrice racconta che quando la regista Carine le ha proposto il film, la sua prima reazione è stata di entusiasmo: “Finalmente qualcosa di nuovo”. Tuttavia, quella contentezza non è durata a lungo. Durante le riprese, Valeria ha provato una crescente frustrazione, perché ogni volta che proponeva qualcosa, la regista rispondeva con un secco “Interessante, ma grazie, no”.

Valeria Bruni Tedeschi: “In L’attachement ho lavorato con frustrazione”

A un certo punto, esasperata, ha deciso di affrontarla: “Perché mi hai voluta se tutto è prefissato? Ti ho fatto decine di proposte, ne hai accettate due e chiaramente l’hai fatto solo per gentilezza”. Non solo, ha persino elencato una serie di attrici che avrebbero potuto interpretare meglio il ruolo. Ma Carine le ha spiegato il suo punto di vista: “Volevo te per poterti tenere a freno, per domarti. Volevo che ti arrabbiassi e volevo esattamente questa frustrazione che provi ora”. Così, Valeria ha deciso di lavorare con quella sensazione, trasformandola in un motore emotivo per il personaggio. “La frustrazione è un ottimo stimolo perché fa sì che si sia controllati, ma che ci sia sempre qualcosa che bolle sotto”, spiega.

Parlando della possibilità di applicare una lettura femminista al film e alla sua protagonista, Valeria racconta che il suo approccio al femminismo è molto personale: “Non è un femminismo rivendicativo, non è il femminismo d’ambiente di oggi. È un femminismo che fa parte di me da sempre”. Ricorda di aver letto a undici anni Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti, un libro che ha avuto un impatto decisivo sulla sua formazione. “Quella lettura ha creato la mia educazione femminista. Non ho mai pensato che esistessero cose che non potevo fare: giocavo a calcio con mio fratello e non c’era differenza tra me e i miei amici maschi”.

Valeria Bruni Tedeschi: “Femminismo? La lotta va fatta con gli uomini, non contro”

Ha vissuto, dice, senza lasciarsi condizionare dal patriarcato: “Avevo una forza dentro di me che me lo permetteva. Non mi hanno mai molestata, non mi hanno mai fatta sentire subalterna, forse solo quando ero piccola, ma nella mia vita adulta non ho mai vissuto nessuna forma di sopraffazione”. Tuttavia, quando ha deciso di passare dietro la macchina da presa, ha dovuto affrontare un certo scetticismo: “Quando ho cominciato a fare i miei film da regista, erano ancora poche le donne e mi hanno presa in giro. ‘Che cosa vuole fare quell’attrice, quella nevrotica?’”. Ma il suo femminismo non si basa su dogmi: “Non ho un manifesto che mi guida, non credo nelle tirannie mentali, ideologiche. Soprattutto non credo che se sei femminista devi odiare gli uomini, la lotta va fatta con loro, non contro di loro, ed è questo il problema che ho con il femminismo imperante oggi”.

Il passaggio alla regia non è stato dunque un atto di ribellione o di rivincita, ma una scelta naturale. Tuttavia, a differenza della recitazione, che definisce “una gioiosa vacanza”, dirigere è un lavoro più impegnativo. “Non sono certa sia catartico”, dice, spiegando che nei suoi film affronta i rapporti con il fratello, la sorella Carla Bruni e la madre, ma che questo non porta necessariamente a una risoluzione: “Può addirittura peggiorare perché non sono contenti di come li racconto!“. Per Valeria, la vera catarsi sta nell’atto stesso di lavorare: “Quando faccio un film alla sera mi sento bene, dormo meglio“. E se gira una scena di violenza, avverte di mettere ordine nella violenza che porta dentro di sé.

Valeria Bruni Tedeschi: “Un personaggio come Sandra è diverso dal solito”

Condivide una visione artigianale del proprio mestiere: “Quando un falegname realizza un mobile e alla fine constata che i pezzi stanno bene insieme è soddisfatto di sé. Io vedo il mio lavoro come qualcosa di artigianale. La differenza rispetto all’artigiano è che lui è contento del suo savoir faire, mentre per me saper fare non è tutto. Bisogna stare attenti, se si è attori, a non adagiarsi sul mestiere. Un personaggio come Sandra è diverso dal solito, interpretarlo mi ha messa in pericolo. Il savoir faire è il diavolo per un attore”.

Infine, riflette su una questione che divide il dibattito pubblico: le sfumature nei rapporti tra uomini e donne, in particolare dopo il movimento MeToo. Catherine Deneuve aveva inizialmente parlato del “diritto a essere importunate”, per poi ritrattare. Ma Valeria osserva che il vero problema è che la società ha sempre ignorato la sofferenza femminile: “Io dico che ci siamo abituati a non vedere la sofferenza delle donne. A non considerarla, a minimizzarla”. E porta un esempio concreto: “Anche solo il fatto di avere le mestruazioni tutti i mesi non è una sofferenza solamente fisica: è metafisica! E la sofferenza del parto è qualcosa di cui gli uomini non hanno nessuna idea. Sono sofferenze ataviche, vanno tenute in conto”. Tuttavia, questo non deve portare a una contrapposizione tra i sessi: “Dire: ‘è di cattivo umore, avrà le sue cose’ significa disprezzare le donne. Le differenze vanno viste, capite, ma senza scendere in guerra”.

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