Femminicidi in Italia: i dati che nessuno vuole vedere e il dettaglio che sconvolge gli investigatori
L’ordinamento giuridico italiano non configura la fattispecie del femminicidio, facendolo rientrare in un reato generico di omicidio, che può essere aggravato se accompagnato da violenza sessuale o commesso da coniuge, ex coniuge o parente. In realtà, non esiste una definizione comune di femminicidio né tra gli Stati membri dell’Unione Europea né nella letteratura scientifica. Inoltre, i dati a disposizione sono piuttosto lacunosi: mancando una comune definizione, non tutti i Paesi raccolgono dati affidabili sulla questione.
A partire dal 2022, la Commissione Statistica delle Nazioni Unite ha emanato un rapporto spiegando quali sono le casistiche che devono essere considerate per poter inquadrare il fenomeno del femminicidio. In base a tale rapporto, si tratterebbe solo degli omicidi volontari di donna in quanto tale. Non si tratta, dunque, delle vittime di incidenti stradali o rapine, a meno che non vi sia una questione di genere legata alla vittima.
Per identificare, dunque, un femminicidio, bisogna considerare chi è la vittima, chi è l’autore e qual è il contesto nel quale è avvenuto. La stessa Commissione delle Nazioni Unite ha individuato tre tipologie di femminicidi legati alle motivazioni di genere. Due categorie comprendono quelli di donne commessi da partner o ex partner o parente. Nella maggior parte dei casi, infatti, proprio chi è vicino alla vittima da un punto di vista sentimentale è l’autore del crimine.
Una terza tipologia di femminicidi riguarda invece donne uccise da soggetti più o meno noti alla vittima in particolari contesti, per esempio se la persona è stata in qualche modo privata della libertà o ha subito vessazioni da parte del proprio assassino o occupava una posizione gerarchica inferiore a questo. Secondo la Commissione Statistica, note queste informazioni, si potrebbe avere un quadro sufficientemente esaustivo sul fenomeno dei femminicidi.
Femminicidi in Italia, i dati
In Italia questi dati non sono sempre tutti disponibili e, pertanto, comprendere il fenomeno è piuttosto difficile. Sulla base dei dati previsti dalla Commissione, l’Istat ha pubblicato alcune stime evidenziando che, negli ultimi quattro anni, sono circa 600 le vittime di omicidi. Ciò significa che in Italia, ogni due giorni, viene uccisa una donna.
Il dato è altamente preoccupante, soprattutto perché, dalle indagini, risulta una modalità primitiva. Non si tratta di rapide esecuzioni, ma di omicidi avvenuti a seguito di colluttazioni in cui l’uomo sfoga rabbia inaudita ed animalesca. L’arma prevalentemente utilizzata è il coltello, probabilmente perché quella più a portata di mano e di facile reperibilità.
Non si tratta mai di uno o due colpi mortali: nel 9% dei casi la vittima viene aggredita ed uccisa con le nude mani; nel 15,5% con oggetti di varia natura brutalmente scagliati contro la vittima fino a renderla esanime; nel 12,8% viene utilizzata un’arma da fuoco, ma anche in questo caso le sentenze raccontano che non viene sparato un singolo colpo, ma ripetuti colpi.
L’orrore
Nel 18% dei casi la vittima viene strangolata per mezzo di cavi, sciarpe o soffocata tramite sacchetti di plastica; nel 3,3% viene utilizzato un liquido infiammabile per occultare il corpo della vittima già deceduta. Le tecniche per l’occultamento del cadavere sono poi ancora più cruente: bauli, valigie, tentativi di incendio del corpo, corpi gettati in mare, nei fiumi, in pozzi o nelle sterpaglie.
Il dato ancora più inquietante è che, nella metà dei casi, è l’autore del femminicidio a dare l’allarme e avvisare le forze dell’ordine. Dati sconcertanti e preoccupanti, per i quali si fa sempre più viva la necessità di interventi di prevenzione concreti, non puramente teorici. L’unica cosa certa è che, in una società civile, il rispetto della vita altrui dovrebbe essere scontato.
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