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Napoletani cattivi se non vincono: perché Conte non può capire che l’appartenenza non è subordinata all’ambizione

Napoletani cattivi se non vincono: perché Conte non può capire che l’appartenenza non è subordinata all’ambizione. In un mondo, quello del calcio, fatto di frasi fatte e cose mai dette, è positivo che qualcuno dica le cose per come stanno. Ma bisogna soffermarsi su un concetto, e spiegarlo bene. I tifosi del Napoli rappresentano un esempio rarissimo di attaccamento alla propria squadra e, ancor più profondamente, alla propria terra.

Essere tifosi del Napoli non significa semplicemente sostenere una squadra di calcio: vuol dire portare nel cuore la storia, la cultura e l’identità di una città unica al mondo, soprattutto da questo punto di vista.

Il legame tra i napoletani e la loro squadra trascende il risultato sportivo: è un vincolo affettivo, viscerale, che non si spezza nemmeno nei momenti più bui. Lo dimostrano i lunghi anni trascorsi nelle serie inferiori, in particolare in Serie C, quando nonostante l’assenza di traguardi importanti e di riflettori mediatici, la tifoseria partenopea ha continuato a riempire lo stadio e a cantare l’amore per quei colori come se fosse in una finale di Champions League.

Il tifo identitario

Questo tipo di attaccamento è qualcosa che chi non ha un senso di appartenenza radicato non può comprendere. Ed è proprio in questo contesto che le dichiarazioni di Antonio Conte appaiono tanto superficiali quanto fuori luogo. Dire che “i napoletani se non vincono diventano cattivi” dimostra una visione distorta e limitata della realtà.

I tifosi del Napoli non sono tifosi della vittoria, sono tifosi della maglia, della città e della loro identità collettiva. Il tifo napoletano è prima di tutto identitario: vincere o perdere è un dettaglio legato alla competizione che non scanfilsce questo concetto. Un leccese che tifa Juventus anziché Lecce, come Conte, difficilmente può capire cosa voglia dire tifare per la squadra del proprio territorio, anche nei momenti di difficoltà.

La Juventus, infatti, raggruppa i tifosi scontenti di tutta Italia, è la squadra di chi vuole solo vincere, di chi non ha un legame con un luogo ma cerca semplicemente l’appagamento di una vittoria. Questo spiega anche un fenomeno molto significativo: a Torino, la città della Juventus, i tifosi del Torino sono più numerosi di quelli della Juve. È la dimostrazione lampante che il tifo per la Juventus spesso non nasce da un legame autentico con la città o con una tradizione familiare, ma da un mero desiderio di successi sportivi.

L’auspicio

E non sorprende quindi che lo stesso Conte, simbolo di questa mentalità, abbia lasciato anche la Juventus quando le condizioni non gli erano più favorevoli. Per lui, come per tanti juventini, l’appartenenza è subordinata all’ambizione. Un concetto lontano anni luce dallo spirito napoletano, dove si ama la squadra anche quando si perde, perché si ama ciò che si è, non solo ciò che si ottiene.

Però il tecnico azzurro ha ragione su un aspetto: certe cose a Napoli non si possono fare, come ad esempio indebitarsi fino a un passo dal fallimento per acquistare giocatori a peso d’oro, salvo poi ritrovarsi in casa dei bidoni. L’augurio che facciamo a Conte è quello di restare all’ombra del Vesuvio ancora qualche anno, con la speranza che la passione di questa meravigliosa tifoseria scalfisca le sue algide convinzioni, un po’ come è successo a Spalletti (foto frame video Dazn).

Carmine Gallucci

direttore@brevenews.com

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