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Renzo Arbore: “Quelli della notte nato da un’idea, lo chiusi per un motivo. Andy Luotto fatto fuori dalla politica”

Renzo Arbore: “Quelli della notte nato da un’idea, lo chiusi per un motivo. Andy Luotto fatto fuori dalla politica”. Renzo Arbore su Quelli della notte, il conduttore foggiano, 87 anni, parla del suo programma divenuto cult a 40 anni dalla prima puntata, in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Quelli della notte è diventato un vero e proprio cult in appena 32 puntate. Secondo Renzo Arbore, l’anima del programma, si trattava di qualcosa di totalmente nuovo e spontaneo: «Era una jam session vocale, una conversazione oziosa, dis-utile come la chiamavo io. Dove ognuno diceva la sua. Niente di preparato, tutto improvvisato». Questo spirito libero e caotico fu alla base del suo successo, ma Arbore capì subito che non si trattava di un progetto da portare avanti all’infinito. «Il programma era esaurito, aveva detto la sua, così mi inventai una cosa completamente diversa».

Ma quel successo lo mise in crisi: «Era un programma nostalgico e io ero spaventato: avevo paura di diventare un alfiere del passato, un presentatore per nostalgici. Cercavo qualcosa di nuovo e inventai una sorta di sitcom live».

L’idea per Quelli della notte nacque da esperienze personali e da osservazioni del quotidiano: «L’idea mi venne pensando al caos delle riunioni di condominio, ma anche alle conversazioni scombiccherate — disutili — di noi nottambuli a Foggia, fra pettegolezzi locali e massimi sistemi, tirate via, senza alcuna competenza».

Renzo Arbore: “Quelli della notte nato da un’idea, lo chiusi per un motivo”

A dare vita al programma furono una serie di volti sconosciuti, una scelta che allora apparve come un vero azzardo. «Mi buttai con 40 facce nuove, erano tutti sconosciuti, a parte io e Giorgio Bracardi. Fino ad allora il varietà televisivo era stato quello di Falqui, di Pippo Baudo, di Corrado, di Raffaella, rifiniti in molte settimane di prove. E io invece feci proprio il contrario. Una jam session della parola, ispirata alle jam session della musica».

Tra i personaggi più emblematici c’era Riccardo Pazzaglia, intellettuale che si lamentava del livello delle discussioni. «Riccardo era un grande artista, un grande umorista, ha scritto capolavori per Modugno. Era molto riluttante ad andare in video, ma lo convinsi e lo spinsi a ispirarsi a un vero intellettuale, Alberto Ronchey. Inventava grandi dibattiti, cose come: dove finisce l’infinito. In quella comitiva piena di cialtroni e gente stralunata finiva puntualmente sconfitto dalla banalità di Massimo Catalano, maestro del discorso lapalissiano».

Proprio Catalano divenne celebre come filosofo dell’ovvio, incarnando perfettamente lo spirito ironico del programma. «Gli chiesi di dire le banalità che io stesso dicevo quando la gente mi fermava per strada e si aspettava di sentire da me grandi concetti. Ridevo per primo di me stesso tirando fuori ovvietà su ovvietà». Simona Marchini fu un’altra figura iconica del cast. «Fu la prima a parlare di gossip in televisione con le sue digressioni telefoniche sui flirt dei vari personaggi, un’idea venuta nelle telefonate con Roberto D’Agostino, quando parlavamo di Milva e Orietta Berti».

Renzo Arbore: “Andy Luotto fatto fuori dalla politica”

Marisa Laurito, invece, interpretava la donna del popolo in cerca del fidanzato scomparso. «Era il modello delle comari parlerecce che animano certi pianerottoli raccontando tutti i fatti di famiglia, quelle cugine che sanno le cose della famiglia, di tutti». Roberto D’Agostino portava in trasmissione un’acuta osservazione del presente. «Con la sua cultura aggiornatissima, le letture di Milan Kundera che fecero volare le vendite dell’Insostenibile leggerezza dell’essere, il lookologo che poi diventò tuttologo, anticipò i tempi di oggi in cui la tuttologia imperversa. Parlò per primo di edonismo reaganiano, capì subito che gli anni Ottanta avevano cancellato gli anni di Piombo».

Tra i personaggi più discussi vi fu Andy Luotto, che interpretava un arabo ispirato da un viaggio in Giordania. «Gli feci fare la parte di un arabo, ispirato da un viaggio in Giordania dove mi ero innamorato delle notti arabe, animate da un vociare continuo, fatte di chiacchiere che si protraevano fino alla notte più nera». Ma quel personaggio causò non poche polemiche, tanto da essere ritirato. «Molti arabi lo apprezzavano, ma c’erano anche quelli che invece alla parola Allah iniziarono a protestare. Un vicedirettore Rai mi telefonò e disse che era stato chiamato da Andreotti a nome del re di Giordania. L’arabo Luotto finì lì».

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