Presunti rigorini e il mantra di una partita a settimana: il vento del Nord soffia sulla lotta scudetto. A quanto pare, ogni domenica il calcio italiano trova nuovi motivi per trasformarsi in una telenovela degna del prime time. L’ultima puntata? Inter-Roma, San Siro, minuto X (perché ormai nemmeno serve più il cronometro: basta dire “episodio in area”). Protagonisti: Ndicka e Bisseck. Il primo difende, il secondo cade.
I tifosi dell’Inter gridano allo scandalo come se avessero assistito a un reato contro l’umanità. Michael Fabbri, arbitro di giornata, non fischia nulla, perché in effetti la trattenuta non è abbastanza grave. Dettaglio, quest’ultimo, confermato anche dalla sala Var, che non richiama il direttore di gara.
Apriti cielo. Le prime pagine si infiammano. I talk show si moltiplicano come Gremlins dopo mezzanotte. Le moviole diventano tribunali popolari. Il pubblico ministero? Il tifoso da tastiera, armato di replay rallentati e indignazione calibrata. Perché quando si parla di Inter, non è mai solo un rigore: è una questione morale. È un dramma nazionale. È il solito, eterno sospetto che qualcuno stia remando contro.
Il mantra di una partita a settimana
E poi c’è il solito discorso che riempie le cronache come il prezzemolo nei piatti degli anni ’90: “L’Inter gioca tre partite a settimana, il Napoli una sola!”, ripetuto all’infinito. Un tormentone degno di un jingle pubblicitario. Secondo questa narrazione, l’Inter sarebbe vittima di un calendario asfissiante, mentre il Napoli si allena con calma in una Spa termale, tra una tisana e una sauna.
Peccato però che la realtà, quel fastidioso dettaglio che i commentatori spesso ignorano, racconti ben altro. Negli ultimi 30 anni, 28 scudetti sono stati vinti da squadre che le coppe non solo le giocavano, ma arrivavano anche fino in fondo. Solo in due casi — il Milan del 1998/99 e la Juventus del 2011/12 — lo scudetto è stato vinto da compagini senza impegni di coppe. Due su trenta. Ma si sa, le statistiche non fanno share.
Il vero problema, però, è più sottile. Il vento del Nord soffia sulla lotta scudetto. E non si tratta di meteorologia. È una corrente mediatica, un’aria rarefatta che avvolge le polemiche, alimenta titoloni, accarezza i nervi scoperti degli arbitri e accende gli animi dei social. Si insinua nel dibattito come un refolo gelido e sospetto, suggerendo che “forse a qualcuno conviene” che le cose vadano in un certo modo. Abbiamo anche letto di un Mariani in odore di stop da parte dei vertici arbitrali. E francamente ci sembra più un suggerimento che una notizia.
La cultura del sospetto
Così si crea una spirale di isteria collettiva, dove ogni fischio diventa una sentenza e ogni mancato rigore un caso diplomatico. I tifosi, ormai trasformati in investigatori di CSI Var Room, passano le ore a montare clip, contare secondi di trattenuta, misurare angoli di caduta. Il calcio giocato? Un dettaglio accessorio. L’importante è costruire la narrativa, l’alibi, il sospetto. Alimentare l’odio di giornata.
La verità, forse, è che il campionato si sta giocando su un doppio binario: quello del campo e quello della percezione. E su quest’ultimo, l’Inter viaggia con il vento in poppa. Perché se non vincono è per il calendario, se vincono è perché “sono troppo forti, o ingiocabili”, mentre se pareggiano è colpa dell’arbitro.
E intanto, al Napoli resta il compito ingrato di spiegare che no, giocare una volta a settimana non è una colpa, ma nemmeno un vantaggio assoluto. E che forse, un giorno, sarebbe bello tornare a parlare di gol, azioni, gioco e progetti vincenti. Ma finché il vento del Nord continuerà a soffiare, prepariamoci a un finale di stagione dove il vero protagonista non sarà lo scudetto, ma il sospetto.
Carmine Gallucci
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