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Marco Mengoni: “Meloni non mi rappresenta. Tour negli stadi? Ho fatto una scelta e me ne assumo le responsabilità”

Marco Mengoni: “Meloni non mi rappresenta. Tour negli stadi? Ho fatto una scelta e me ne assumo le responsabilità”. Marco Mengoni su Giorgia Meloni, e non solo, il cantante viterbese, 36 anni, in partenza del tour negli stadi, parla a tutto tondo in una intervista a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

L’artista si sta preparando a tornare sulle scene e racconta come stia affrontando questo momento con grande intensità emotiva: «Sto lavorando per essere pronto, pure emotivamente. Non è facile, perché l’emotività è il mio pregio e insieme il mio difetto, fatico a frenarla […] cerco di concentrarmi su quello che accadrà negli stadi. Ho scelto di misurarmi con un progetto “audace”. Ancora più dei tour precedenti, mi prendo la responsabilità di ogni scelta, dal numero di luci sul palco al materiale dei vestiti dei performer. Ho in testa un’idea precisa: far tuffare il pop – sono un cantante popolare e ne vado fiero – nell’opera. Ciò che porto in questo tour coincide poi con il mio recente percorso, un processo di decostruzione per ricostruire, come del resto capita alla società. Scavare, levare le macerie, riassestare ciò che resta e partire di nuovo».

Terminato il tour negli stadi, si sposterà in Europa in autunno, un passaggio che considera naturale, alla luce della sua visione del mondo: «Lo faccio da tanti anni, sono cambiati gli spazi: dai club ai palazzetti. Esibirmi all’estero mi pare normale: non credo nei confini, nelle dogane che bloccano. L’Italia è in Europa e io sono un italiano europeo, un ipereuropeo».

Marco Mengoni: “Tour negli stadi? Ho fatto una scelta e me ne assumo le responsabilità”

Non manca un riferimento all’attualità politica, come dimostra la sua reazione alla legge anti Pride recentemente approvata in Ungheria da Viktor Orbán. Alla domanda se aggiungerebbe Budapest al tour per lanciare un messaggio, risponde senza esitazioni: «Decisamente sì. È assurdo che si arrivi a questo, all’assolutismo di chi sta al potere dopo che un gruppo di persone l’ha votato o votata… questo femminile non è casuale». L’allusione va alla premier italiana Giorgia Meloni, figura che lo porta a una riflessione più ampia sul proprio rapporto con il Paese in cui vive: «Vivo in un Paese che non mi rappresenta, che ha fatto diventare la pratica della maternità surrogata un reato universale. Ci rendiamo conto? Ci sono figli nati prima di questa assurdità che cresceranno e scopriranno che i loro genitori sono punibili penalmente. Per fortuna ho vicino persone con la mia stessa visione. E sono convinto che quelli che non ce l’hanno siano pochi, ma abbiano più potere».

Marco Mengoni: “Meloni non mi rappresenta”

Di fronte a questo squilibrio, sottolinea l’importanza delle scelte elettorali e del ruolo attivo dell’artista: «Infatti bisogna votare con più precisione e non preferire il candidato meno peggio. Intanto come artista io non smetto di prendere posizione, di piantare un seme di riflessione: da sempre il palco per me è un momento per condividere un messaggio, non pretendo di convincere nessuno ma mi piace che il pubblico esca dai miei concerti con spunti e domande».

Nel corso della conversazione emerge anche un dolore personale profondo, la perdita della madre, avvenuta a settembre dell’anno precedente. È la prima volta che ne parla: «I mesi passano, ma è come se fosse successo sempre ieri. Non ne avevo ancora parlato fino a oggi, ho cercato di non farlo o di lasciare il compito alla musica». Quando si parla di elaborazione del lutto, riconosce quanto sia difficile “andare avanti”: «È veramente troppo presto. Ogni volta che ci penso è come entrare in una stanza con un buco gigante, so che col tempo ci costruirò anche un recinto e magari cresceranno dei fiori, però quella sensazione resterà sempre. Era la persona che non dovevo perdere mai nella vita, a prescindere dal suo essere madre: con mamma Nadia, infatti, ci sono stati scontri, incomprensioni, mancanze… era Nadia a essere gigante. G-i-g-a-n-t-e. Sapeva essere la più profonda al mondo, per poi trasformarsi in un attimo in una bambina. Però, sono contento di averla avuta con me, di aver lottato come un disperato e di aver fatto di tutto fino all’ultimo».

Marco Mengoni: “Mi piacerebbe avere un figlio”

L’argomento si sposta poi sulla paternità, tema su cui si esprime con immediatezza: «Sì, un figlio è importante». E sull’amore confessa di essere ancora molto coinvolto, anche se attualmente non c’è nessuno nella sua vita: «Io amo amare, mi piace svegliarmi e andare a letto con il pensiero fisso di un amore. Ho questa foga di accudire l’altro e in passato ho anche strafatto. Ora però non c’è nessuno».

Nel 2021 ha scelto invece di iscriversi a Psicologia, ma il percorso universitario ha subito un rallentamento: «Mi sono arenato. Però continuo con la psicoterapia e festeggio i dieci anni. Voglio capirmi meglio, accogliere le mie fragilità. Intanto ho compreso che di fronte all’ansia e alla mia tendenza a esaminare ogni comportamento devo pragmatizzare, fare cose pratiche, una prassi che si è un po’ persa nella nostra società».

Non manca una riflessione sul suo passato e sulle possibilità alternative della vita, in particolare su cosa sarebbe successo se non avesse vinto X Factor nel 2009: «Ultimamente ci penso tanto. Anche se, come diceva nonna Iolanda, altra donna meravigliosa della famiglia, “con i se e con i ma non si fa la Storia e nemmeno il futuro”. Però, se esistesse un vero Metaverso, sarei un architetto».

Tra le amicizie nel mondo della musica spicca quella con Jovanotti, a cui ha persino salvato il gatto: «Ero a New York, stavo per tornare, e mi ha cercato per chiedermi se potevo prendergli lì una medicina per il gatto, che in Italia non trovava. “Lore’, vado subito”. In farmacia mi hanno dato una scatola sottovuoto da tenere al freddo. Così mi sono procurato una specie di cella frigorifera da valigia e mi sono imbarcato. Una volta consegnato, ho letto sul web che da noi non era in vendita con quel dosaggio».

Marco Mengoni: “Sanremo? Mi tremava una gamba quando ho cantato l’inno”

Tra le esperienze che gli hanno causato più tensione cita il Festival di Sanremo e l’Inno di Mameli cantato davanti al Presidente della Repubblica, ma tra i due momenti sceglie il secondo: «Scelta difficile. Nel secondo caso ricordo che avevo una gamba che non smetteva di tremare e, non so se potevo farlo, ma mi è uscito Fratelli d’Italia in versione un po’ soul (lo intona, ndr). Era il 2021, di lì a poco si doveva concludere il mandato di Sergio Mattarella e gli ho chiesto: “Presidente, perché non rimane ancora?”. Lui ha riso».

Quanto a un eventuale ritorno all’Ariston, ironizza sulla possibilità di mantenere la cadenza decennale: «Se mantenessi l’abitudine di ripetere l’esperienza ogni dieci anni, rivedrei l’Ariston nel 2033. Di recente si è staccata la targhetta del premio del 2013: vorrà dire qualcosa? Sì, continuo a tenerlo in bagno: mi piace lì».

Infine, non esclude l’idea di cimentarsi con la recitazione, sebbene finora non si siano presentate le condizioni ideali: «Certo. In questi anni ho ricevuto delle proposte, però alcune non le sentivo propriamente vicine. Altre erano incompatibili con gli impegni già in essere. Per esempio, un regista che amo follemente, di cui apprezzo il lavoro e l’umanità, voleva coinvolgermi in un suo progetto imponente, ma le riprese duravano cinque mesi e non potevo mettermi in stand-by per quel periodo. A malincuore ho rifiutato». E sul nome del regista, preferisce mantenere il riserbo, aggiungendo con autoironia: «No, non le dico il nome. Però le dico che mi vergogno sempre un po’ quando mi chiedono di fare cose per cui non ho studiato. Che poi manco la musica ho studiato chissà quanto…».

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