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Eugenio Finardi: “In Tutto parlo anche di IA, vi spiego come cambierà il mondo in positivo. Problemi di salute? Legati alle batterie”

Eugenio Finardi: “In Tutto parlo anche di IA, vi spiego come cambierà il mondo in positivo. Problemi di salute? Legati alle batterie”. Eugenio Finardi su Tutto, e non solo il cantautore milanese, 72 anni, parla del suo nuovo lavoro, che esce il 9 maggio in digitale e il 16 in formato fisico, in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

L’artista ha trovato ispirazione per il suo nuovo lavoro nell’etica di lavoro quasi maniacale mostrata dai Beatles nel documentario Get Back. Guardando quel materiale, ha sentito la spinta a rimettersi in gioco: «Quando sei giovane le canzoni arrivano da sole, “La radio” ad esempio l’ho scritta in tram, ma da anziani magari vengono delle idee, però sono macro-concetti grandi e informi, in cerca di sonorità. Così ho visto i Beatles e ho detto ok, mettiamoci in studio».

Eugenio Finardi: “In Tutto parlo anche di IA, vi spiego come cambierà il mondo in positivo”

A rendere possibile questo ritorno creativo è stato anche il lavoro del produttore Giuvazza Maggiore, capace di costruire un mondo sonoro intorno alle difficoltà dell’artista, soprattutto legate alla perdita dell’udito: «Giuvazza Maggiore ha prodotto straordinariamente bene i brani, creando un mondo sonoro anche attorno alle mie impossibilità dovute alla perdita di udito, nel senso che non reggo più una batteria, e quindi ce n’è poca».

La perdita dell’udito e l’acufene non sono fenomeni recenti, ma il risultato di una lunga esposizione e di un evento traumatico: «Sono la somma dell’invecchiamento, di un trauma, perché mi sono trovato vicino a un’esplosione, e in generale di 50 anni di batteria alle mie spalle: quelli ti uccidono, accade a tanti, vedi Pete Townshend». Nonostante questo, continua a comporre, anche se in modo diverso: «Ma ormai la musica riesco a comporla senza sentirla. Un pezzo come “Onde di probabilità”, del disco, è nato completamente teorico, scrivendo le note e inserendole nel pc senza alcuna tastiera. Se metto gli apparecchi acustici sento la pioggia, ma mi distorcono la musica, quindi preferisco sentire senza».

Eugenio Finardi: “Problemi di salute? Legati alle batterie”

In vista del tour, che inizierà il 16 maggio, ha trovato soluzioni tecnologiche per continuare a esibirsi dal vivo senza compromettere la salute: «Lì non ho problemi, ho due casse davanti. E avrò una batteria fatta molto di pad perché il volume dello strumento acustico mi fa girare la testa e mi assorda. Il presente offre strumenti tecnologici che permettono di affrontare la musica in maniera diversa, ottenendo ottimi risultati».

Il titolo dell’album riflette la vastità di temi trattati e la dimensione esistenziale della musica: «Mi chiedono di che parla e dico che parla di tutto: dalla fisica quantistica, al futuro, ai figli. Contiene campioni e suoni già usati di tutta una vita. E si riferisce anche alla musica che è un veicolo per l’assoluto, non necessariamente in senso religioso, anzi io sono ateo, ma nel senso dell’immensità dell’universo».

Il brano d’apertura, «Futuro», segna una svolta nelle sue visioni: non più l’“Extraterrestre”, ma l’Intelligenza Artificiale come speranza per l’avvenire: «Finché la comanderemo noi sarà un casino, ma magari fra 300 anni, quando sarà l’AI a comandare e arriveremo a una coscienza che supera la nostra, saremo noi la fonte delle sue emozioni, la sua amigdala. Vivrà lei attraverso di noi e non viceversa». Una prospettiva che non lo spaventa, anzi gli appare come una possibile inversione positiva: «Credo di sì, anche perché noi non stiamo facendo un grande mestiere, il Pianeta è alla frutta. Non ho più interesse delle miserie ideologiche del presente, sono le solite cazzate che sento da 50 anni e che non hanno portato a nulla. Servono solo a giustificare l’immensa crescita del capitale e una perdita di libertà sempre maggiore, con le dittature. Ma intanto il Pianeta va a rotoli, molto in fretta».

Eugenio Finardi: “In Tutto canto con mia figlia”

Un momento particolarmente emotivo del disco è il duetto in «Francesca sogna», con la figlia più giovane: «Per me è stato molto emozionante, per lei quasi fastidioso (ride), infatti l’ho lasciata da sola con il produttore, a scrivere la sua parte. È giusto, come dico ne “La battaglia”, che i figli diventino degli estranei, soprattutto nelle cose di lavoro».

Guardando al passato, riflette sulle differenze tra le generazioni: «La mia è stata forse l’ultima generazione che ha sognato un futuro e che aveva un futuro da sognare, tutti noi cantautori, De Gregori, Venditti, De André, ma anche Battiato e Vasco, abbiamo assistito alla nascita del linguaggio-macchina, poi le cose hanno fatto un balzo in avanti creando questa assurda situazione per cui forse per la prima volta sono i giovani ad avere qualcosa da insegnare ai vecchi e non viceversa».

Nel 1970 ha vissuto un’esperienza fondamentale alla sua formazione, il Festival dell’isola di Wight: «Ho visto il penultimo concerto di Jimi Hendrix, malinconico, vestito tutto di arancione, sarà il senno di poi, ma sembrava un addio. E poi il primo di Emerson, Lake & Palmer. Ero con Camerini e Treves, io e Camerini ci alternavamo a dormire: io ho dormito durante i Doors e lui durante gli Who». Nonostante si sia perso Jim Morrison, non ha rimpianti: «Mi interessava di più Townshend con la sua chitarra. E ho visto Miles Davis cambiare la storia della musica, creando la fusion, davanti a noi. Poi è arrivato il futuro, così ora a Sanremo, quando leggo il cast, mi sembra il campionato di pallavolo ugandese, non ho la minima idea di chi siano».

Eugenio Finardi: “Musica di oggi? Non approvo testi sessisti”

Nel brano «Tanto tempo fa» fa riferimento a un’epoca di ideali forti ma anche di eccessi ideologici, un confronto con l’oggi che ritiene comunque significativo: «Io sento degli ideali nelle canzoni dei ragazzi, traslati nella semantica che si usa oggi. In fondo “Dolce italia”, in cui cantavo la mia alienazione nell’essere americano in Italia e italiano in America, mi ricorda Ghali quando parla di “casa mia e casa tua”. Anch’io sono figlio di un’extracomunitaria, ricordo quando mia madre americana di origine tedesca, albina fra l’altro, quindi tutta bianca, veniva apostrofata sul tram. La gente le diceva “torna a casa tua”, mi ricordo gli sguardi di stranezza. Son cose che si ripetono».

Non si sottrae nemmeno a un commento sui testi accusati oggi di sessismo e violenza, esprimendo chiaramente la sua posizione: «Non li approvo, soprattutto quelli sessisti, in questo periodo storico. Siamo in un momento in cui la coppia, di per sé, è un concetto da rivedere».

Infine, affronta la questione di un possibile addio alla musica: «Non in assoluto, ma realisticamente sarà l’ultimo disco di inediti. È stato un parto scriverlo, ho perso 10 chili. Bruciavo dentro dalle idee, ma questa cosa maniacale che da giovane produceva la furia della musica ribelle e poteva essere ripetuta all’infinito, adesso mi ha lasciato svuotato, con un periodo di esaurimento e stanchezza. E poi anche c’è l’aspetto del business, faticosissimo. Ma dico che è l’ultimo anche in modo un po’ scaramantico, se poi ne arriva un altro, c’è sempre l’ultimissimo, un po’ come i tour dei Pooh o degli Elio e le storie tese».

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