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Salute

Nebbia cerebrale, cos’è il disturbo invisibile che sta cambiando il volto delle malattie croniche

La nebbia cerebrale è una condizione caratterizzata da un insieme di sintomi neurologici diffusi ma debilitanti, che colpiscono milioni di persone affette da malattie croniche, sottoposte a trattamenti medici intensivi o che convivono con gli effetti di cure mediche intensive o nel contesto di una malattia long COVID.

Tra i sintomi principali si riscontrano difficoltà di concentrazione, confusione mentale, rallentamento cognitivo, disorganizzazione e frequenti episodi di smemoratezza. Nonostante la sua diffusione, la nebbia cerebrale non è ancora riconosciuta ufficialmente come una diagnosi clinica, ma viene sempre più considerata come un segnale di una funzionalità cerebrale compromessa.

Storicamente sottovalutata dalla medicina, la condizione ha iniziato a ricevere maggiore attenzione da parte della comunità scientifica, in particolare dopo l’aumento dei casi registrati durante la pandemia. Il National Geographic ha riportato che, sebbene i test neuropsicologici spesso non rilevino anomalie evidenti, i sintomi riferiti dai pazienti possono essere estremamente invalidanti. Questa discrepanza tra sintomi soggettivi e risultati oggettivi può generare grande frustrazione tra i malati, che si sentono spesso non compresi o non creduti.

I soggetti più a rischio

La nebbia cerebrale è stata segnalata in persone affette da fibromialgia, sindrome da stanchezza cronica, lupus e altre patologie autoimmuni. È frequente anche tra i pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia, tra coloro che assumono farmaci potenti come gli oppiacei e tra chi soffre di disturbi psichiatrici, tra cui depressione e schizofrenia. Con l’emergere del long COVID, migliaia di persone hanno riportato questo tipo di confusione mentale come uno dei sintomi persistenti più disturbanti, spesso indipendentemente dalla gravità iniziale dell’infezione.

Le cause esatte della nebbia cerebrale non sono ancora completamente chiare, ma una delle ipotesi più accreditate riguarda il ruolo della neuroinfiammazione. Secondo recenti ricerche, quando la risposta immunitaria dell’organismo è alterata, può interferire con le normali funzioni del cervello. In particolare, nei pazienti affetti da long COVID, si è osservata un’attivazione cronica delle cellule immunitarie cerebrali e la produzione di autoanticorpi che colpiscono anche tessuti sani, compresa la materia neuronale. Queste alterazioni potrebbero spiegare la persistenza e la gravità dei sintomi cognitivi osservati nei soggetti colpiti.

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