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Valeria Solarino: “Veronesi? Mi fanno sempre le stesse 2 domande. Una frase di Springsteen mi ha fatta sentire in cielo”

Valeria Solarino: “Veronesi? Mi fanno sempre le stesse 2 domande. Una frase di Springsteen mi ha fatta sentire in cielo”. Valeria Solarino su Giovanni Veronesi, suo compagno dal 2003, la frase di Springsteen, e non solo. L’attrice 46enne, madrina al Festival di Taormina, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Valeria Solarino è pronta a calcare un nuovo palcoscenico del cinema, questa volta come madrina del Festival di Taormina, che prende il via il 10 giugno. Dopo aver ricoperto lo stesso ruolo al Festival di Torino e alla Festa del Cinema di Roma, la sua partecipazione alla rassegna siciliana rappresenta una tappa importante nel suo personale “Grande Slam” dei festival cinematografici. «È un modo per festeggiare il cinema e parlarne con gente che ama questo mestiere», afferma, sottolineando la passione che la lega a questo mondo.

Il suo percorso da madrina ha avuto inizio a Torino, dove ha avuto a che fare con una figura per lei mitica: Nanni Moretti. «Era il direttore artistico, ed era il mio mito. Fu una conduzione scherzosa, aveva voglia di divertirsi in una serata ufficiale, ricordo che non dovevo mai nominare cifre e si creò una gag su questo. Non lo conoscevo di persona, l’avevo incontrato casualmente per strada, timidamente mi sono presentata e lui mi ha risposto: lo so chi sei».

Valeria Solarino: “Una frase di Springsteen mi ha fatta sentire in cielo”

L’esperienza romana ha invece avuto un sapore internazionale. Lì ha incontrato Bruce Springsteen, presente per la presentazione di un documentario su una sua incisione. «Presentava un documentario su una sua incisione e come madrina mi invitavano a tutti gli eventi. Gli ho detto che da piccola ho imparato l’inglese con le sue canzoni, a un certo punto mi ha detto “noi artisti” e mi sono sentita in cielo».

Adesso l’attesa è per Taormina, che promette un parterre stellare con nomi del calibro di Scorsese, Michael Douglas, Catherine Deneuve, Monica Bellucci, Olivia Colman ed Helen Hunt. Per Solarino, l’incontro con Scorsese avrebbe un significato particolare. «Essendo affascinata dal processo creativo, a Scorsese vorrei chiedere come arrivano le idee. Io ogni volta è come se ricominciassi da zero, da questi grandi artisti vorrei sapere come si mantiene quel livello, e poi se percepiscono una responsabilità personale in un momento di tensioni e guerre come questo».

Quanto al suo percorso professionale, non esprime rimpianti, ma una consapevolezza matura. «Sono stata fortunata, ho incontrato belle persone con cui ho lavorato bene. Sono consapevole di essere in un momento di passaggio, in un’età che va ridefinita. Ho ripreso a fare teatro, e non come ripiego, ho cominciato da lì.. Ho tre progetti in piedi».

Tra questi nuovi impegni c’è stato di recente il debutto alla Scala, un momento particolarmente significativo per lei. «Tucidide. Atene contro Melo, di Alessandro Baricco, con Stefania Rocca e cento violoncellisti. Era la prima volta che ci entravo, quando vi passavo davanti ero ammirata e con un senso di timore reverenziale. Ho voluto i miei nipoti in sala perché respirassero bellezza, creatività, fatica».

Valeria Solarino: “Veronesi? Mi fanno sempre le stesse 2 domande”

Nel privato, Valeria ha spesso ricevuto domande sulla sua vita sentimentale, in particolare sulla relazione con il regista Giovanni Veronesi. «…Oppure sui figli che non ho avuto. È una mia scelta, non è qualcosa che mi manca, si può avere senso materno senza averli. Associare l’essere donna all’essere madre mi fa sorridere. Il problema è la condizione sociale».

Riflettendo su questo, sottolinea le difficoltà concrete che le donne incontrano nella professione. «Nel tour teatrale di Perfetti sconosciuti gli attori sono tutti padri, noi tre donne, no. Come può coincidere un’attrice mamma con un tour teatrale? Ci sono tante rinunce».

Il suo passato da atleta ha inciso profondamente sulla sua visione di sé e sul modo di vivere il corpo. «In me tutto doveva essere funzionale al rendimento sportivo. Mi sono truccata la prima volta a 20 anni. Nel mio lavoro l’immagine è al centro. Io non ne sono influenzata. Non sono nata nell’era dei social. Simone de Beauvoir mi ha illuminata».

L’influenza della filosofa francese è stata decisiva. «Diceva che se le donne storicamente non sono parte attiva della società, non avendo utilità diventano oggetto e devono cominciare a farsi belle, a curarsi proprio in quanto oggetto. Io ho le caviglie sottili, che per i nostri canoni estetici denotano bellezza. Ma le ho sempre considerate un difetto perché quando giocavo a basket prendevo tante storte, e le ho coperte con gli stivali o gli anfibi, perché non erano utili, me ne vergognavo».

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