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Levante: “Io barista frustrata, poi mi uscì quella strofa. Maimai autobiografico, la vendetta è stata mia”

Levante: “Io barista frustrata, poi mi uscì quella strofa. Maimai autobiografico, la vendetta è stata mia”. Levante da barista ad artista di successo grazie a “quella strofa”, e non solo. La cantautrice siciliana, 37 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Levante ha raccontato molti momenti importanti della sua vita, partendo da quando, a soli 13 anni, sostenne il suo primo provino con Teddy Reno, con l’intenzione di partecipare al Festival degli Sconosciuti. «Mi sono presentata con due canzoni voce e chitarra scritte da me. Duravano sei minuti l’una: penso che Teddy Reno volesse uccidermi», ha ricordato con ironia.

Levante: “Io barista frustrata, poi mi uscì quella strofa”

Qualche anno dopo, a 26 anni, si trasferì a Leeds nella speranza di trovare un’occasione nella musica. Tuttavia, quell’esperienza si rivelò presto un errore. «Non è stata una grande idea andarci. Mi sono ritrovata a casa di un ragazzo che diceva di avere dei contatti discografici, mi ospitava in un monolocale insieme alla sua fidanzata ma è stato un incubo: prima di capire che era tutta fuffa, ho dormito per due mesi per terra, su un materassino gonfiabile in un bagno senza gabinetto (il gabinetto era fuori dall’appartamento). Sono tornata a casa disperata e ho scritto Alfonso».

Rientrata in Italia, trovò lavoro in un bar, ma la frustrazione cresceva. «Lavoravo in quel bar e le cose non stavano andando come desideravo io, ero veramente tanto frustrata. Continuavo a pensare: non è possibile, io so che sono nata per la musica. La frustrazione di quel momento, il bar, non avere tempo per i miei sogni, mi uscì quella strofa: che vita di merda». Quelle parole divennero presto un emblema di identificazione per molti. «Quelle quattro parole erano il riassunto di tutti i miei tentativi falliti. Tanti si sono riconosciuti nell’immagine di Alfonso, che è a una festa in cui tutti si divertono, in cui tutti hanno un ruolo e un’identità molto precisa, mentre lui — ossia io — si sente fuori posto, fuori luogo».

Levante: “Maimai autobiografico, la vendetta è stata mia”

Tanti possono riconoscersi anche nel suo nuovo singolo, Maimai, che tocca corde altrettanto personali e condivisibili: è un messaggio tagliente ma lucido rivolto a un ex. «Le strofe raccontano un dialogo tra due ex amanti, quando lui — dopo aver fatto una cazzata — torna in ginocchio da lei che si prende la sua rivincita: adesso è troppo tardi, una rivalsa rispetto a quello che c’è stato in precedenza. Per questo canto Ti piacerà la torta al mio livore».

Dietro al testo c’è un ricordo autobiografico. «Ho ripescato dal mio vissuto, mi è venuta in mente una me adolescente che ci è rimasta sotto con un ragazzo che l’aveva lasciata due giorni prima del suo diciottesimo compleanno. Quando lui è tornato in ginocchio da me gli ho tirato un due di picche meraviglioso». Un gesto che restituisce forza e dignità. «Credo che ci assomigliamo tutti soprattutto nei rapporti amorosi: l’amore e il dolore sono i due sentimenti più forti che attraversano l’animo del genere umano».

Alla domanda se abbia più sofferto o fatto soffrire, Levante risponde con equilibrio. «Credo che il saldo karmico sia bilanciato, quando sono stata io a far del male poi mi è tornato indietro: quello che semini raccogli. In questo momento credo di essere pari, non ho nessun debito, nessun credito. Quella dei sentimenti è un’indagine che faccio tutti i giorni con me stessa: cerco sempre il modo anche di migliorarmi nelle relazioni».

Levante: “Fai Rumore non mi ha dato fastidio”

Quando si parla di Fai Rumore, brano di Diodato spesso associato alla fine della loro storia, Levante chiarisce la sua posizione. «No, non mi ha dato fastidio. Diciamo che le storie d’amore — le storie in generale, le cose private — le sanno le persone che le vivono e quindi a me dispiace che siano circolate voci rispetto a questo rapporto che io ho cercato di preservare in tutti i modi. La cosa che mi ha infastidito non è Fai Rumore, è l’effetto domino che ha avuto sulla bocca degli sconosciuti. La verità la sappiamo io e Antonio».

Anche il suo pseudonimo ha un’origine curiosa, legata al film Il ciclone di Leonardo Pieraccioni. «In niente! Nacque per caso, avevo 12 anni quando uscì il film e mi trovavo nel mio paese di origine, Caltagirone. Ricordo questo agosto noiosissimo e afoso dove non c’era molto da fare. Olga, la mia amichetta dell’epoca, scherzando mi chiamò Levante. E da lì è diventato il mio soprannome», ha detto ridendo.

Infine, il dolore più profondo, quello per la perdita del padre, morto quando aveva appena nove anni, è ancora una presenza forte nella sua vita e nella sua arte. «Ero veramente piccola e all’inizio sono stata arrabbiata perché la prima cosa che ti chiedi è: perché io, perché noi? Crescendo la cosa bella che ho fatto per me e per lui è stato ricordarlo sempre, continuamente. Mio padre è in moltissime canzoni dei miei dischi, è nei libri che ho scritto, è in tante mie narrazioni. L’ho tenuto in vita così, lo sento sempre vicino. E poi sono molto affezionata a Caruso Pascoski (di padre polacco) di Francesco Nuti: quando ero piccola lo guardavo con mio papà».

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