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Terza guerra mondiale e festa scudetto Napoli, Farinetti trova un legame: “C’entriamo anche noi”

Terza guerra mondiale e festa scudetto Napoli, Farinetti trova un legame: “C’entriamo anche noi”. C’è chi studia geopolitica, chi analizza strategie militari, chi valuta le conseguenze della proliferazione nucleare. E poi c’è Oscar Farinetti. L’imprenditore che ha fondato Eataly, ex patron di Unieuro, oggi dispensatore di filosofia spicciola da talk show, è riuscito in un’impresa titanica: trovare un legame – peraltro serissimo – tra la possibilità di una guerra mondiale e… i festeggiamenti dei tifosi del Napoli.

Sì, avete capito bene. In un’Italia dove ogni giorno si trovano nuove perle nei dibattiti televisivi, Farinetti è riuscito a spingersi oltre. Nel corso di una brillante – si fa per dire – apparizione al programma ‘È sempre Cartabianca’, ha offerto al pubblico una perla di saggezza contemporanea: il vero problema del mondo è il “fideismo”, ovvero la tendenza a creare “nuovi dei”, e un esempio calzante di questa degenerazione sarebbe… la gioia incontenibile dei napoletani per lo scudetto.

Il paragone assurdo

Tralasciamo per un momento quello che, da napoletano, considero un insulto mascherato da teoria sociologica. Tralasciamo il tono paternalistico e il sottinteso classismo che trapela da un simile esempio. Fermiamoci invece sulla sostanza: secondo Farinetti, i tifosi del Napoli che hanno osato festeggiare “per una settimana” la vittoria del secondo scudetto in 3 anni (che poi, fosse stato per un mese, sarebbe stato pure poco) sono la rappresentazione plastica del fideismo. Un pericolo per la civiltà moderna. Una tribù da contenere. Gente da studiare, magari da psicanalizzare. Anzi, forse da disinnescare, prima che parta una guerra nucleare da Fuorigrotta.

Ora, possiamo solo immaginare quanto possa bruciare, da juventino qual è, vedere un popolo che si stringe compatto per esultare nelle proprie piazze. I tifosi della Juve, si sa, sono sparsi per lo Stivale come coriandoli a carnevale: difficile organizzare una festa degna di questo nome senza ritrovarsi con due striscioni e un silenzioso brindisi tra le mura domestiche. Ma da qui a considerare i caroselli partenopei come sintomi di un declino antropologico ce ne passa. Anzi, ce ne corre.

Fa sorridere – amaramente – pensare che per anni abbiamo assistito alle celebrazioni delle “solite note”, spesso accompagnate da toni enfatici. Ma quando festeggia Napoli, improvvisamente diventa una tribù. Quando si colora il Vesuvio di gioia, diventa “primitivismo”. Quando un popolo esplode di felicità, per qualcuno è “eccesso da contenere”. E ora, grazie al genio di Farinetti, persino un campanello d’allarme per l’equilibrio geopolitico mondiale.

In realtà, tutto questo ha un retrogusto amaro che sa di rosic

È difficile non leggere nelle parole di Farinetti una frustrazione malcelata, una punta di fastidio per chi sa vivere il calcio come un rito collettivo, come appartenenza, come festa. Un fastidio che viene da chi forse ha perso il contatto con la gente vera, quella che scende in strada, che canta, che si abbraccia, che piange di gioia. Una realtà che non si trova sugli scaffali di Eataly né nei bilanci in rosso di chi, ultimamente, farebbe meglio a interrogarsi più sui propri errori che sulle “derive fideistiche” altrui.

Perché a Napoli si può criticare tutto, tranne la passione. Quella non si compra, non si vende, non si gestisce in franchising. E soprattutto, non si riduce a metafora da bar di quart’ordine in un salotto televisivo. In fondo, le guerre si fanno per il potere, per il controllo, per il denaro. Ma nel mondo secondo Farinetti, forse basta un coro azzurro sotto il Sole di Spaccanapoli per scatenare l’apocalisse. Qualcuno lo avvisi: non è fideismo. È semplicemente amore. E quello, Oscar, non ci sembra il tuo forte.

Carmine Gallucci
direttore@brevenews.com

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